È delusa, Patrizia Testa, ma non si è certo spenta la sua volontà di vegliare sulla Pro Patria. Anche ora che deve vendere le quote societarie per rimanere in consiglio comunale, rimuovendo le cause di incompatibilità, perché lei - ha ribadito - è una che rispetta le regole. Non essere più presidente, non significa che si disinteresserà della società di cui è stata presidente per sei anni e mezzo. Lascia, si può dire, ma non abbandona. Sui dettagli dei cambiamenti societari, darà comunicazioni ufficiali nelle prossime ore.
«Quelli come Bonfanti mi hanno dato la forza»
Intanto però ribadisce che non si può spegnere quell’ardore, anche perché c’è un carburante speciale che l’ha sostenuta in questo percorso: «Se i miliardari si sono tirati indietro, sono i singoli che mi hanno dato questa forza». Sono tanti, spesso umili, silenziosi. Patrizia Testa tiene a citarne uno che diventa così anche un simbolo per tutti, un grande tifoso scomparso solo in apparenza, perché oggi veglia da lassù sullo Speroni: «Francesco Bonfanti che mi scrisse una cosa bellissima quando mi chiamarono su un giornale la mamma della Pro…».
Non c’è rimpianto nella voce di Patrizia, che si è candidata la scorsa estate nella lista civica Antonelli sindaco: qui è risultata la più votata, con 309 preferenze. Delusione, quella sì: «Perché non vedo premiati i tanti sacrifici personali. Sono stata costretta a una scelta sicuramente dolorosa. Sì, lo sottolineo, mi costa parecchio». Dal momento in cui è circolata la voce che ci potesse essere una incompatibilità - anche se nessun reclamo scritto era stato presentato - Patrizia Testa si è mossa. O meglio ha accelerato ciò che sarebbe dovuto avvenire prima o poi, in quanto un impegno così oneroso non poteva comunque andare avanti in eterno.
Certo, non doveva accadere così: «Mi spiace dover dire alla mia città che questa scelta la devo subire. La metto in atto io, ma la subisco allo stesso tempo, perché in passato c’è stato chi era presidente e anche assessore, quindi in un ruolo più "intenso" di consigliere». Il riferimento è ad Alberto Armiraglio. La differenza, rispetto ad allora, è che è stata firmata una convenzione con il Comune di Busto per lo Speroni e ciò che ha cambiato le condizioni rispetto al passato. Benefici? Il paradosso è questo: «Io metto soldi nelle tasche del Comune, perché prima era consuetudine concedere a titolo gratuito l’impianto».
Il prezzo più alto
Oggi, in un certo senso paga due volte. Il prezzo più alto è lasciare la presidenza biancoblù. Vende le quote societarie che la mettono in questa condizione di incompatibilità, «dopo che mi ero avvicinata per senso di appartenenza al territorio, senso di dovere da cittadina nonché innamorata dello sport e della Pro Patria – osserva – partendo da zero e attuando una pulizia nella società». A differenza di altri, precisa, «io la mattina dopo sarò ancora qui, deterrò delle quote – precisa, ovviamente in modo sempre rispettoso delle regole – Sarò a maggior ragione una persona che supervisionerà ciò che accade». Ha visto in passato troppe storture o tentativi in questo senso: «Ci sono anche persone di Busto incapaci che hanno cercato di tornare qui in questi anni. Devo dire che ho visto nella politica individui che agiscono con cuore, raziocinio e professionalità, ma anche persone che cercano di usare i ruoli per interessi personali. Finché avrò le energie, mi schiererò sempre a favore delle cose pulite».
Adesso, ha intensificato le trattative «avendo intravisto questa possibilità dopo sei anni e mezzo di estrema solitudine». Ha agito, ancora non vuole dare altri particolari per correttezza. Di certo – assicura – non sarà un’operazione di facciata. Non è nelle sue corde, assicura, non rispecchierebbe i valori che le hanno insegnato suo padre Luigi e il senatore Rossi, con il quale ha avuto un rapporto straordinario di amicizia.
«Se vedo una cosa non bella, mi torna difficile girarmi da un’altra parte – sottolinea – allora, ci sono delle cose che devo ancora concludere a livello di amministratore unico, come il deposito del bilancio al 30 giugno, siamo in dirittura d’arrivo indipendentemente da questo fatto. Tutti i termini saranno rigorosamente rispettati. Poi appena arriverà la notifica, scattano i 10 giorni. Non tirerò l’ultimo secondo».
Anche con una mascherina
Tanti hanno usato la Pro per i loro fini, anche in politica, in questi anni. Lei sottolinea che mai è comparso sul canale social biancoblù qualcosa che avesse a che fare con la campagna elettorale: sono state due strade distinte, in modo rigoroso. Se guarda indietro, risente anche la gioia delle prime telefonate quando fu ufficializzato il suo ingresso nella Pro Patria sei anni fa. L’entusiasmo per una bustocca alla guida dei tigrotti, finalmente: «Ma la città mi ha dato sempre poco, a parte i singoli. Sì, ripeto, i miliardari si sono tirati indietro».
Non i tifosi, quelli veri, con tutto ciò che avevano: sono quelli che non si faranno mai belli con il nome della Pro Patria. Per e con la Pro Patria, Patrizia Testa ci sarà sempre. A vedere le partite, a vegliare, rispettando i ruoli ma con gli occhi puntati su questa società che in tempi recenti si è distinta a livello nazionale per il “progetto”, il reale coinvolgimento dei giovani in serie C, contratti concreti e lo sguardo avanti. Progetto che è legato a un nome e cognome, importanti per Patrizia Testa e la Pro Patria: Sandro Turotti. Anche il direttore sportivo, ha fatto la differenza. Nelle competenze, ma pure nel rigore e nella trasparenza.
È ciò che vuole fare ancora, Patrizia: adesso, a Palazzo Gilardoni. Ma indosserà sempre la mascherina della Pro Patria in consiglio? «Certo – risponde subito – anzi presto la vedrete portare anche da altri consiglieri». No, la fiamma non si spegne.