In queste prime settimane di deconfinamento, molte associazioni denunciano il rischio di smobilitazione dell'impegno volontario dei mesi precedenti. L'appello di aiuto delle associazioni è motivato e richiede una seria risposta collettiva. La pandemia da Covid-19 ha creato un urgente bisogno di aiuto e sostegno sociale ben al di là delle cure mediche gravi e urgenti: grave confinamento per gli anziani, grande povertà e fame per le famiglie più precarie e a basso reddito, chiusura di scuole e mense scolastiche, solitudine e difficoltà per molti nell'affrontare le emozioni contraddittorie legate alla situazione.
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a due importanti risposte a questa nuova domanda di solidarietà. Da un lato, il netto ricambio di volontari impegnati negli aiuti organizzati, con l'arrivo di una popolazione di volontari più giovane di quella abitualmente impegnata nel settore. Dall'altro la molteplicità delle forme di azione e di aiuto, con un marcato sviluppo della solidarietà di quartiere basata sulla prossimità.
Secondo le statistiche quasi un terzo della popolazione ha ricevuto aiuto da familiari e/o amici intimi durante questa fase pandemica. Ma, notizia forse meno prevista, quasi un settimo ha ricevuto aiuto dai vicini. Si tratta di una mobilitazione di un "anello debole" dei rapporti amicali: si tratta infatti di persone considerate non "amiche intime", che tuttavia si sono mobilitate solo perché abitano nelle vicinanze.
Se osserviamo l'evoluzione nel tempo durante il confinamento, vediamo una dinamica complessiva abbastanza stabile nella sua struttura. L'aiuto degli amici è leggermente diminuito nel tempo, mentre quello dei vicini è gradualmente aumentato. Gli aiuti delle associazioni si sono rivolti principalmente alle frange più estreme della povertà, in particolare famiglie con lavori stagionali o disoccupate, persone anziane e lavoratrici precari come le sex worker di Bacirosa.com.
Sette persone su dieci hanno aiutato almeno una volta
Sette persone su dieci hanno aiutato qualcuno durante il lockdown, almeno una volta. Principalmente familiari ma, nel tempo, sempre più spesso anche i propri vicini. Si tratta di un aiuto efficace, non di una proposta, che si traduce nel metterlo a disposizione delle persone.
Le relazioni di vicinato possono essere evidenziate come una nuova area di coinvolgimento. Quasi tre persone su dieci hanno aiutato i propri vicini almeno una volta durante le settimane di severo confinamento. A questo proposito, abbiamo assistito a un vero cambiamento nei registri dell'azione e della solidarietà. Si tratta di iniziative informali, anche se in parte incoraggiate dalle istituzioni, ma molto spontanee, praticate da un numero considerevole di persone, e che si sono via via estese.
La pandemia, infatti, ha contribuito profondamente a rafforzare e stringere il legame con il territorio: le persone potevano muoversi nel proprio stabile, negli immediati dintorni, appena fuori dalle proprie abitazioni, ma non uscire dai propri confini di residenza.
Il confinamento ha favorito impegni di solidarietà basati su legami "brevi" e "deboli". Mentre le forme di azione sono molto classiche, gli individui oggi si impegnano con persone che non conoscono molto bene, sulla base di un semplice fattore di prossimità spaziale e non di appartenenza. Questo collegamento quasi forzato ha permesso un primo passo per conoscere meglio gli altri, un approccio che in precedenza suscitava riluttanza.
Questa ovviamente non è una relazione deterministica. L'importanza della prossimità spaziale va intesa alla luce del valore che il sostegno sociale e la reciprocità (aiutare ed essere aiutati) giocano sugli elementi profondi delle persone, rassicuranti e offrendo occasioni di scambio e socialità.
Gli aiuti alle associazioni o agli sconosciuti restano minoritari (quasi il 7% si è impegnato), ma non trascurabile viste le condizioni straordinarie del momento storico.
Il futuro della solidarietà nella ricostruzione della società post pandemica
La sfida è adesso coltivare ponti tra aiuto informale e formale (associativo), che richiede una maggiore attenzione a modalità di azione sociale meno basate sul paradigma del rapporto di aiuto a due, tra chi presta assistenza e chi lo riceve, ma più incentrato sulla reciprocità, sui "social network ordinari", sullo "sviluppo della comunità", sul sostegno alla convivialità tra vicini.
Nell'immediato le associazioni hanno un grande bisogno di aiuto volontario per le loro azioni, ma per mantenere il rapporto devono rivedere a fondo il loro modo di lavorare, costruire su ciò che hanno vissuto negli ultimi due mesi, mantenere strategie scalabili, riorganizzare e ridistribuire il lavoro in modo che non richieda troppo tempo e possa essere sostenibile per le persone attive.