Ciascuno ha una propria immagine, qualcosa di tangibile e allo stesso tempo un simbolo di come la pandemia abbia fatto irruzione nelle nostre vite e di come non se ne sia andata.
Più di uno, probabilmente. Un muto testimone si può trovare, ad esempio, in viale Alfieri, a Busto Arsizio: è un manifesto, la locandina di un film. Annuncia che il 25 febbraio (2020) al teatro San Giovanni Bosco sarà proiettato "Martin Eden". Quello spettacolo non c'è mai stato e ricordo nitidamente, nelle uscite misurate con i passi e i motivi di necessità del primo lockdown, come pregustassi quel film quasi disperatamente.
Quando tutto sarà finito, voglio vedere "Martin Eden" e lo voglio vedere proprio lì, nella sala buia e accogliente del quartiere, dove ci si può emozionare senza pause, distrazioni, messaggini che irrompono nella visione. Non era un'ossessione, ma un impegno, una bussola in quello sbandamento.
Aspettando Martin Eden, è diventato il mio film nel film, e giorno dopo giorno l'attesa si nutriva di qualche dubbio, qualche passo indietro, e molte più speranze. Si sarebbero riaccese le luci, e con esse la possibilità di tornare a vivere anche così.
Solo che "anche così" va bene per noi spettatori, pur calzando stretto ugualmente perché la cultura è un potente integratore dell'anima, in realtà un suo irrinunciabile alimento. Ma queste due parole possono, anzi devono essere levate se si considera tutto il mondo che ruota attorno al cinema e alla cultura in genere.
È tornare a vivere e basta, quando ci sono posti di lavoro di mezzo, anni di sacrifici, professionalità costruite con dedizione e spesso poco ritorno, impegno di volontariato anche (pensiamo a tutte quelle sale tenute in piede dalle associazioni e dalle parrocchie), che ha dato tutto ciò che poteva e molto di più.
Il mondo dello spettacolo in questi giorni ha alzato la voce (LEGGI QUI), per ricordarci che il tempo si è interrotto, ma che quel filo va ripreso in mano e riannodato. Il nemico numero uno resta la pandemia, nessuno se lo scorda, tuttavia tra mille studi, protocolli, disposizioni ci dev'essere un modo per ridare fiato a un settore che è fondamentale per il nostro futuro.
Lo spettacolo in questi giorni chiede di essere liberato, per un motivo essenziale: per liberare anche noi. Così il manifesto dell'ultimo film rimasto in sospeso domanda di essere sfilato e di lasciare il posto a un altro, rimettendo in modo quel cammino virtuoso di emozioni che ci aiuterebbero un po' a guarire dalle ferite della pandemia.
Il tempo si è interrotto un anno fa per "Martin Eden" e per molti altri. Nessuno chiede di tornare indietro e fare finta che nulla sia successo: ma che si faccia ripartire il futuro, sì, per chi è attore e spettatore. Ruoli che si confondono nel buio di un sala e anche nella vita, perché così connessi gli uni agli altri.