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Sport | 10 febbraio 2021, 07:00

«Per correre la Dakar ci vogliono sacrifici, amore e follia»: il sogno su due ruote di Giovanni “Gianni” Stigliano

Un mese dopo il suo ritorno a casa, il pilota varesino ci porta in Arabia Saudita per ripercorrere con lui la sua prima Dakar e rivivere le emozioni che solo il deserto può regalare: «È quello che aspetti da tutta la vita...»

«Per correre la Dakar ci vogliono sacrifici, amore e follia»: il sogno su due ruote di Giovanni “Gianni” Stigliano

Un mese fa, era in Arabia Saudita, in mezzo al deserto, per inseguire un sogno che aveva nel cuore fin dall’infanzia. Oggi, Giovanni “Gianni” Stigliano, classe 1973, di Gorla Maggiore, racconta la sua esperienza come pilota della Dakar, rally che quest’anno ha raggiunto la sua 43° edizione.

Un’avventura vissuta a bordo di una Yahama WR 450 F, una moto non specifica da rally, ma da enduro, preparata per l’occasione e allestita con tutti gli accorgimenti, da un serbatoio per la benzina di capienza sufficiente, agli strumenti di navigazione, al kit per la manutenzione.

Su dodici tappe, Gianni ne ha corse sette, fino a quando un problema meccanico l’ha obbligato a tornare a casa. Quali emozioni ha provato mentre guidava? Come ha vissuto questa esperienza?

Ma soprattutto…com’è iniziata la sua storia?

C’era una volta… un futuro motociclista

Con un padre motociclista, era naturale, per un Gianni bambino, appassionarsi alle due ruote: «Mi ricordo i fine settimana con lui, quando portava me e mia sorella a fare qualche giro qui in zona. Mi ha trasmesso la libertà, il piacere di spostarsi con una moto».

La passione è cresciuta con lui - e con i buoni risultati scolastici, che gli hanno permesso di ottenere le prime moto -, è diventata parte della vita sua e della famiglia che ha costruito con sua moglie, al suo fianco anche durante i viaggi in giro per l’Europa.

Certo, ogni vacanza, ogni giro in moto regala esperienze ed emozioni, ma mai quanto la Dakar, che Gianni ha iniziato a seguire fin dalle medie: «Ai tempi, in Italia era molto seguita, anche per i piloti che gareggiavano, c’erano trasmissioni dedicate, con servizi, aggiornamenti durante la gara. All’inizio, la Dakar era più che altro l’avventura di persone che si buttavano in spazi infiniti, con una navigazione approssimativa. Ho sempre sognato di partecipare anche io, ma non è una gara a cui ci si può semplicemente presentare e gareggiare, c’è una selezione, ci vuole un certo curriculum».

Proprio questo sogno, questo desiderio lo ha portato, circa sei anni fa, a iscriversi, per la prima volta, alla Dakar.

Dalle prime gare in tv, al sogno realizzato

«Allora, si correva in Sud America, ma il mio curriculum da pilota non era sufficiente, avrei dovuto rinunciare, oppure ritentare. È richiesto un certo budget per partecipare e, quando a fine settembre 2020 mi hanno comunicato che ero stato selezionato, è iniziata la corsa a reperire i fondi necessari, a rimettere in piedi la moto, è accaduto tutto in tempi molto stretti», racconta il pilota varesino, ripensando ai due mesi di “preparazione matta e disperatissima” per arrivare pronto a una gara che, di solito, richiede almeno un anno, un anno e mezzo di lavoro.

Bisogna partecipare a determinate gare, allenarsi dal punto di vista fisico e, ancora di più, mentale, mente e corpo devono correre insieme.

Per fortuna, «dopo un infortunio in una gara in Ungheria, mi sono dedicato a gare di endurance e altre attività sportive molto impegnative, ho migliorato tanto la concentrazione, ho fatto traversate importanti, sono stato in acqua per ore, ho attraversato lo Stretto di Messina, il Lago d’Orta, esperienze che mi hanno portato gran benefici anche per testare la concentrazione. Certo, ci sono momenti della giornata in cui non vedi l’ora di arrivare al bivacco, perché subentrano anche altri elementi, come il buio e il freddo».

Anche il fattore psicologico gioca un ruolo di primo piano, come la cura dell’alimentazione, di cui Gianni ha capito subito i benefici. Al pilota della Dakar, quindi, viene richiesta una preparazione a tutto tondo, sotto ogni aspetto: «Ho lavorato tutto l’anno, anche se abbiamo fatto poche gare all’estero, a livello fisico ho continuato ad allenarmi. Il periodo della preparazione è il più snervante, non vedi l’ora di partire, ma fa tutto parte del gioco, se non sistemi bene ogni aspetto rischi di avere problemi una volta là, la logistica impone di portarti solo ciò che è utile, nulla che sia superfluo».

Da non dimenticare, soprattutto in questa fase, il supporto dei suoi cari, fondamentale per superare le difficoltà, con il loro entusiasmo e la loro vicinanza hanno aiutato Gianni ad affrontare con quanta più serenità possibile i mesi prima della gara: «Te ne rendi conto dopo, al momento pensi al tuo obiettivo, loro vivono la gara da dietro le quinte ma ci sono».

E poi, finalmente...

L’arrivo in Arabia Saudita, l’impatto con il deserto e le prime emozioni

Gianni ricorda ancora con emozione il suo arrivo in Arabia Saudita: «Siamo stati messi subito in isolamento per 2 giorni, io non vedevo l’ora di partire, ho visto persone rimandate a casa a causa del tampone positivo, c’era molta tensione. Per fortuna, ho trascorso questo periodo insieme ad un amico che era alla sua terza Dakar, per cui mi ha dato tanti consigli».

L’inizio non è stato facile, ma quando «mi sono trovato in mezzo al deserto, ho pensato che era arrivato davvero il momento di divertirmi, è quello che aspetti da una vita. È un luogo emozionante, in cui mi ero già trovato durante i vari viaggi, ma lì era diverso, mi stavo confrontando con i migliori. Senza contare che erano anni che non andavo più in Africa, ho avuto bisogno di un paio di tappe per riprendere le misure con quel tipo di ambiente».

Tra i momenti più emozionanti del viaggio, «i passaggi tra diversi paesaggi erano una vera sorpresa, perché non vedi quello che ti aspetta fino a che non scollini, vorresti fermarti per ammirarli ma non c’è tempo!»

Gianni ha affrontato la Dakar da solo, senza team o assistenza meccanica, «ho corso, come quasi tutti gli italiani, nella categoria “nostalgici”, gli avventurieri una volta, è quella più seguita, dopo dodici, tredici ore arrivi al bivacco e devi fare manutenzione, montarti la tenda, dormi tre, quattro ore poi riparti. Ci vuole tanta passione, ma anche tanta follia!».

Un problema meccanico ha interrotto il viaggio del nostro pilota, alla settima tappa: «La moto con cui correvo non era nata per affrontare una gara così, nonostante io abbia cercato di curare tutto quello che si poteva, purtroppo il paracoppa non era abbastanza robusto, una pietra ha crepato il carter, è fuoriuscito l’olio e, dopo qualche ora, si è rotto il motore. Non sono arrivato alla fine, ma conosco i sacrifici fatti, ho avuto un’occasione e l’ho buttata al vento, il rammarico più grande riguarda il budget, è vero che puoi avere fondi illimitati e non è detto che arrivi in fondo, ma chi corre con le KTM da rally non corre rischi come il mio, è una moto sviluppata per correre in queste condizioni, con tutti gli accorgimenti del caso».

A modo suo, comunque, Gianni sente di aver vinto, lo percepisce da come è stato accolto al suo ritorno, amici, familiari, colleghi lo hanno rincuorato, incoraggiato, tanto che «penso che ci siano presupposti per tornare anche l’anno prossimo».

I compagni di avventura e i prossimi viaggi

Un pensiero va anche ai piloti che Gianni ha incontrato durante il suo viaggio: «Ho conosciuto tante persone fantastiche, con cui condividere una passione, una visione, una filosofia di vita, si è creato un bel legame, quasi fraterno. È una roulette russa, alcuni si sono fermati, siamo partiti in 9, poi siamo rimasti in quattro e ne sono arrivati due. I momenti in cui scambiare qualche parola erano rari, oltretutto nel bivacco eravamo in circa cinquemila e ci spostavamo tutti i giorni».

Il varesino ricorda anche con piacere alcuni episodi “fuori gara”, quando i locali si avvicinavano per chiedere una fotografia, invitarlo a casa, «si pensa che Arabia sia paese chiuso, ma loro sono molto ospitali, alla gente basta poco per emozionarsi».

Gianni è rientrato da poco, ma è già pronto a rifare i bagagli, insieme a due compagni di gara sta già lavorando per partecipare alla Dakar 2022 come team, «abbiamo deciso di presentare un progetto cercando partner e sponsor per tornare in Arabia. Vorrei fare alcuni test in novembre in Tunisia con gli altri per riprendere confidenza con quel tipo di terreno, l’ostacolo più grosso è di certo il budget, ma stiamo battendo il ferro finché è ancora caldo».

Il nostro pilota aveva un sogno e l’ha inseguito fino a quando non l’ha trasformato in realtà. Ma i sogni, si sa, sono come i viaggi, appena torni a casa avresti già voglia di ripartire, con nuovi obiettivi, desideri, speranze.

Auguriamo a Gianni di riuscire a realizzare tutti i progetti a cui si sta dedicando, con l’impegno, la passione e il coraggio che, fino ad ora, ha dimostrato. Potete seguire le sue avventure sui profili Facebook Giovanni Gianni Stigliano e Instagram @giov_nni.stigliano.

Giulia Nicora

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