Ci ragioni, col Giuseppino. Caspita che mente fervida. Ti snocciola ragionamenti, pacati. Mai con la voce modulata, ma sempre fresca, curiosa, oltre ogni dire. Poi ti piazza un vecchio adagio e tu ci ragioni, mediti, mai scomposto. Eccone uno: "ogni cà l'e fèi da sassu e gàn tuci'l sò fracassu". che ha il seguente significato: "ogni casa è costruita col sasso (ipotetico, che racchiude ogni laterizio) e hanno tutte il loro fracasso (il dire, il confrontarsi, la discussione)". Entrare nel merito del "detto" è cosa delicata e non effimera.
Quando ci si confronta, ciascuno ha le proprie ragioni. Che non sempre collimano e che si riducono a vere discussioni, dove i pareri possono essere contrastanti. Mettiamo, nel "gioco delle parti", il fatto che il rispetto verso il padre e soprattutto, la parola del padre, diventava un giudizio. I figli, ci si dovevano adattare. A volte con qualche mugugno, ma ....si adattavano (sic).
Si discuteva di patrimonio, di campagna, di attrezzature, di animali. E, per chi era "sotto padrone", si parlava di soldi, di paga, di diritti, di precarietà e di convenienza. Giuseppino è drastico. Partiva dal presupposto che "ùl pà e'l padròn" avevano sempre ragione "g'àn rasòn" ed era difficile scardinare questa "porta". Esisteva praticamente un "veto" al di là del quale non si poteva andare.
Dunque, figli (e resto del parentado) dovevano essere assoggettati ai dettami del padre. Tuttavia, esisteva una "variante" e Giuseppino la spiega bene: "a masèa, a spusa, a dòna, a màma" che non solo era al fianco del decisionista marito, ma ne era la "consigliera", colei che viveva una giornata intera coi figli aveva il potere di avocare a sè tutti gli elementi necessari per trarre un giudizio. Quindi? Nei tempi andati col "vu" (voi - detto al marito), la "masèa" era in grado di dare la giusta dimensione al dialogo e di "consigliare" marito e figli sulla strada da percorrere.
Si dice spesso che a quei tempi c'era la cosiddetta "famiglia patriarcale", ma a ben guardare, di fatto si delineava un differente giudizio, vale a dire "famiglia matriarcale"....per dire che era la donna di casa a "dettare legge" sia nei confronti dei figli (energicamente) sia nei "consigli" forniti al marito, il quale aveva (più o meno), il compito di mantenere la famiglia; di fornire il sostentamento, ma la gestione delle risorse di casa, spettava (di fatto) alla moglie.
C'era poi una "scappatoia" a vantaggio della donna di casa. Di fronte a certe monellerie, la mamma diceva spesso "gàl disu al to pò" (lo riferisco a tuo padre), con l'intento di portare a miti consigli chi si macchiava di qualche colpa. Solo a fatti estremi si giungeva alla "spiata". La minaccia era sempre lieve e il "giudice" (il padre) quasi mai si prendeva la briga di punire ("un cai sberluton" o "a zenta sui gambi o sul cù") - qualche scapaccione o la cintura sulle gambe o sul sedere.
Altro detto del Giusepèn: "al vanta pissè 'na olta andò che centu olti, andèm". In verità, il detto l'ho sentito parecchie volte da mamma; specie dopo vari richiami, per andare a svolgere i compiti o a smetterla coi giochi. Traduzione: "è più importante una volta andare (eseguire) che cento volte vado e non eseguire" - altrimenti detto : i propositi vanno bene, tuttavia, ai propositi occorre dare seguito a una semplice azione.
Tornando all'esempio di prima, Giuseppino lo integra con un esempio pratico. La "masèa" con quattro figli in casa e col marito a fare il carrettiere "suta padròn" (da dipendente presso una ditta di trasporti) dice al capo-famiglia: "te a dighi al to padròn da dati pissè da paga.....cun ghèl ca t'e ciapi a ga lu fo non a toghi ai fioeu ul necesari" (devi dire al tuo principale o datore di lavoro, di darti un aumento nella paga. Con quanto percepisci, non ce la faccio ad acquistare ai figli, il necessario). Dentro quel "necessario" c'era dentro tutto per l'intera famiglia: vitto, alloggio, spese varie. Così, il bravo padre riferisce al suo datore di lavoro: "sciur Luigi, dami pissè da paga...gu là ses cu da fò cagò" (signor Luigi, dammi una paga più sostenuta .....siamo in sei in famiglia). La "traduzione" era un po' troppo gergale, ma rende la ragione.