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Sport | 02 dicembre 2025, 07:39

Roberto Bof e la "luce" delle Paralimpiadi: «Vedendo in tv una ragazza amputata, c'è chi trova la forza di uscire dall’ospedale e provarci»

«Un mondo a parte che fa bene», inizia così il racconto di Roberto Bof, uomo del fare e promotore dello sport per disabili, sulla "luce" dei Giochi Paralimpici: «Qui c'è ancora il contatto con il marciapiede. Ho pianto di gioia a Torino per gli "scappati di casa" dello sledge hockey e a Pechino per quelli nati sul pontile di Gavirate. Paralimpiadi e Olimpiadi rappresentano mondi e valori diversi. Le mosche bianche Andreoni e Morlacchi e tutte le altre cresciute dalla Polha dovrebbero essere valorizzate e portate in giro per l'Italia a raccontare la loro storia. Alle famiglie andrebbe spiegato come portare in piscina o in palestra un figlio amputato o con lesioni. Mancano pulmini, mezzi o piscine? Basterebbe mettersi tutti attorno a un tavolo per trovare la quadra»

Roberto Bof in azione alle Paralimpiadi

Roberto Bof in azione alle Paralimpiadi

Sulla strada e perfino nel lato oscuro della Luna, ogni 4 anni, arriva la luce. Anche se Roberto Bof resta un "uomo da marciapiede" - cioè del popolo - perfino quando potrebbe volare ad altezze olimpiche, anzi di più: paralimpiche. E, così, vivrà Milano Cortina a modo suo: muovendosi da una pista ghiacciata a una da sci come se dovesse partire per la sua amata Africa, spinto dal profumo di casa, da quella luce riflessa negli occhi degli uomini che, su uno slittino, su una gamba o su una mano, o perfino sussurrando poche parole a volte incomprensibili, raggiungono il traguardo con una forza che arriva da dentro, spinti da pochi o nessuno se non gli amici veri, come accade nella vita di Roberto, il primo dei campioni paralimpici della nostra vita. Perché di questo mondo con l'h (se anche l'altro mondo vivesse allo stesso modo, saremmo tutti migliori), lui racchiude la fanciullezza, l'incoscienza, la capacità di essere se stesso e non farsi cambiare. Mai, soprattutto quando potrebbe guadagnarci. Ricco dentro, umano fuori, senza pudore nel mostrare la sua forza e la sua debolezza, Roberto Bof è il nostro "panda" (come lo era Roberto Baggio per Gianni Mura): da difendere. Con il suo disincanto, la sua poesia, la sua malinconia, la sua capacità di lasciarsi andare e dire ciò che sarebbe meglio non dire, quella di tirare "schiaffi" salutari e racchiudere il senso delle cose in una frase e in un "punto" dopo cui non c'è nulla: siamo certi che l'intelligenza artificiale che, appunto, è artificiale, cioè l'opposto del "mondo Bof", storpierebbe sicuramente il suo nome in Roberto "Buffa". E, per una volta su un milione, farebbe la cosa giusta.

Roberto Bof, qual è la prima cosa che ti viene in mente se dico “Paralimpiadi”?
La luce. La luce su un movimento cresciuto tantissimo, anche se purtroppo in certi aspetti è sempre più somigliante al movimento olimpico. Dopo Rio 2016, l’allora presidente del Comitato paralimpico Pancalli disse "no" all'unione tra Olimpiadi e Paralimpiadi perché c’erano valori diversi da difendere. In realtà poi tutto è diventato una sorta di calderone: ci sono atleti meravigliosi che fanno un sacco di cose per gli altri, ma anche atleti diventati manager, aziende, mental coach. Non è un male, è il mondo che va così.
A mio parere però si è perso il contatto col marciapiede, quello che piace a me. Ancora oggi si fa una grande fatica ad avvicinare i giovani allo sport paralimpico: non è un problema di strutture, ma di persone. Prendi Varese: senza associazioni come la Polha o Vharese con l’H, per dirne due, non ci sarebbero opportunità. Promozione, eventi, perfino i campionati federali se non fossero organizzati dalle associazioni del territorio, non esisterebbero. E invece questa "luce" dovrebbe arrivare anche dall'alto, dove si puote ciò che si vuole.
Ogni quattro anni, nonostante tutto, il movimento viene illuminato e tanti atleti raccontano che, vedendo in tv una ragazza amputata alle Paralimpiadi, hanno trovato la forza di uscire dall’ospedale e provarci anche loro.

Hai un ricordo bello e uno brutto legato alle Paralimpiadi?
Brutto, nessuno. Quando parto per quelle avventure vivo in un mondo a parte e fa bene anche a me perché lì vedo solo il bello. Il ricordo indimenticabile? Torino 2006, quando vidi per la prima una banda di “scappati di casa” scendere sul ghiaccio con le mazze da hockey contro nazioni inarrivabili. E vedere il gol dell’Italia segnato da Ivan Ghironzi, allora atleta della Polha, quell’abbraccio, quell’emozione... altra luce abbagliante: eravamo reduci da valanghe di gol subiti, ma quello era il gol. Quella era una medaglia perfino superiore all'oro.

Altri momenti indimenticabili?
Il quattro con d'oro a Pechino 2008. Ero da solo in tribuna con Pancalli: sotto di me, sul molo, c'era Paola Grizzetti che piangeva. Abbiamo pianto tutti. Fu una medaglia d’oro indelebile nata a Varese da altri “scappati di casa” (un termine che uso con tutto l'affetto del mondo) che quattro anni prima si erano trovati sul pontile di Gavirate: avevamo quasi paura a far salire sul pontile quei non vedenti che poi sono arrivati primi davanti a Gran Bretagna e Stati Uniti. Una cosa impensabile. 

Un fiume di emozioni: raccontacene un'altra.
Le tre medaglie di bronzo di Federico Morlacchi a Londra 2012, e la sua medaglia d’oro nel nuoto a Rio 2016 nei 200 misti. E poi la scalata di Bebe Vio fino all’oro di Rio. O, più recente, l’arrivo tra le lacrime di Yoko Plebani a Parigi 2024 con la sua medaglia d’argento nel triathlon. E, sempre a Parigi, la medaglia di bronzo nell'inseguimento di Davide Plebani e Lorenzo Bernard: sul tandem era inciso il nome “papà Nino”, il padre di Marilena Lualdi che con la sua famiglia ha contribuito ai costi di preparazione dei due atleti del Team Equa. Ricordi incancellabili.

E le prossime Paralimpiadi, quelle in casa?
Ci sarà molto da vedere per tutti. Ci saranno emozioni ma, lo ripeto, non parlatemi di Olimpiadi e Paralimpiadi come se dovessero essere una cosa sola perché è un'ipotesi irrealizzabile e impossibile, sia tecnicamente che logisticamente. Dovresti tenere una città occupata un mese e mezzo per ospitare tutte le gare. Avrebbe al massimo senso unire gli eventi a cinque cerchi per tipo di specialità olimpica e paralimpica, partendo però prima con mondiali, europei e campionati italiani unificati, appunto, per tipologia di disciplina. Questi sono Giochi, per così dire, diffusi con lo spirito olimpico disseminato tra una cerimonia a Milano, una a Verona, una a Cortina e gare sparpagliate a centinaia di chilometri di distanza, a volte in valli non facilmente raggiungibili. Ho chiesto l’accredito e le offerte d’albergo avevano prezzi da Costa Azzurra… Detto questo, alcune strutture resteranno: i trampolini di Predazzo, il nuovo palaghiaccio di Milano per l’hockey. Bisognerà impegnarsi per portare a casa il bello, partendo dal fatto che gli atleti saranno comunque uno stimolo per tanti giovani e altrettante famiglie per iniziare a fare attività sportiva.

Quanta varesinità ci sarà in queste Paralimpiadi?
Varese e Paralimpiadi significa Polha. E, su tutti, Alessando Andreoni, un ragazzo giovane e una mosca bianca come solo la Polha sa crescere, vedi anche Morlacchi. Ecco, loro di mestiere dovrebbero essere mandati in giro per l’Italia a raccontare lo sport paralimpico.
Ci sarebbe lo sledge hockey, ora para ice hockey, ma invece di impegnarsi a trovare nuovi atleti dall'alto hanno prima pensato a cambiar nome… se poi pensiamo che in Svizzera, dove l'hockey è sport nazionale, non c’è nemmeno una squadra di sledge hockey. Anche a Varese bisognerebbe sfruttare l’occasione dando un minimo di visibilità ad atleti che rappresentano esempi da narrare ai bambini. Riccardo Cardani, che fa snowboard, è venuto in una scuola di Cantello a raccontarsi: ecco, questi sono i personaggi che andrebbero supportati, valorizzati e portati ovunque invece di organizzare convegni con titoli da iperuranio che non arrivano alla base. La famiglia non vuole sentire parlare di “valori dello sport”: vuole sapere cosa fare con un figlio amputato o con lesioni, dove portarlo. Morlacchi ha avuto una famiglia favolosa che si è affidata alla Polha, ma viveva a Luino e doveva venire a Varese. Crescendo, qui non c’erano piscine e quindi ha dovuto spostarsi a Milano. Ma non tutti possono farlo. 
A proposito: il Comitato Italiano Paralimpico è fresco di rinnovo, ci sono un nuovo consiglio e un nuovo presidente. Perché tutta questa "luce" lasci qualcosa sul territorio servirebbe un referente del Cip a Varese che, finora, non c'è stato.

Tu cosa seguirai?
Lo sci perché conosco chi promuove lo sci da seduti da 25 anni come la Freerider. Le gare sono a Cortina ma dormirò in Val di Fassa perché nel centro ampezzano è impossibile trovare posto. Vorrei vedere anche le gare di snowboard e, sicuramente, la nazionale di hockey a Milano.

A un bambino davanti alla tv le Paralimpiadi possono cambiare la vita…
Certo. Pensa a Marco Carabelli di Mornago, tetraplegico dopo un incidente. Suo padre un giorno lo carica in macchina e lo porta a vedere le gare di discesa alle Paralimpiadi di Torino. Ne resta impressionato e il suo vicino di posto tra il pubblico gli chiede: “Vuoi provare a sciare da seduto?”. Era Nicola Busata della Freerider. Oggi Carabelli non è alle Paralimpiadi ma, oltre a sciare, guida, dipinge, fa il dj. Ecco le medaglie che servono. Ecco le storie del territorio che meritano di essere raccontate accanto a quelle di Bebe e di Zanardi.
La stessa Bebe, tutte le volte che è venuta a incontrare qualcuno a Varese ha sempre detto: “Ci sono, ma con me deve esserci anche qualche esempio del territorio”. Una famiglia con un ragazzo disabile a San Fermo o Casbeno da Bebe porta a casa uno stimolo, ma non una risposta concreta. Quella la dà la Polha. Oppure è la possibilità di condividere l’auto con un’altra famiglia nelle sue stesse condizioni per portare il figlio ad allenarsi. Quell'auto o quel pulmino fondamentali ci sono se c'è la "squadra". Ma siamo ancora capaci di fare squadra?

Pulmini di scuole o amministrazioni comunali ce ne sono a migliaia in provincia di Varese, ma...
...ma restano fermi nel weekend. Potrebbero usarli le associazioni degli atleti disabili, ma ci sono sempre dei problemi, da quelli assicurativi alla privacy e via dicendo, che potrebbero essere facilmente risolti se ci si mettesse tutti assieme. Se nell’emergenza terremoto tutto diventa possibile, non deve esserlo anche nello sport dei disabili? Se è una priorità, al diavolo la burocrazia. Devi dare un’opportunità alle famiglie, se poi non la vogliono cogliere è un altro discorso. Si dice: mancano le strutture. Ma se alle Paralimpiadi arrivano le nazionali di Cuba o Iraq, vuoi dirmi che hanno più strutture delle nostre? 

Varese è la culla del nuoto paralimpico, ma le piscine latitano.
Basterebbe poco... Prendiamo la piscina della Whirlpool: va bene, è "quasi" di 50 metri, però basterebbe metterci sopra un pallone d'inverno perché sia usufruibile da tutti per tutto l'anno. Nascerà una cittadella dello sport con piscina olimpica in via Sanvito e io spero che il "dono" di Orrigoni (tanto di cappello) possa essere usufruito da chiunque e che ci si possa sedere attorno a un tavolo perché tutti quelli che hanno fame di nuoto in città, Polha compresa, possano condividere allo stesso modo la struttura.

In conclusione?
Se lo sport paralimpico è una priorità, si trova la quadra. E si superano frasi come “quella cosa lì non si può fare” e “quell’altra non si può toccare”. Serve lo spirito di metterci insieme con le persone che fanno, lasciando fuori quelle che non fanno o non hanno mai fatto.

Andrea Confalonieri

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