C'è un silenzio diverso, oggi, al campo sportivo di Fagnano Olona. Un silenzio più pesante, carico di un vuoto che generazioni di calciatori, dirigenti e tifosi sentono fin dentro le ossa. Questa mattina, venerdì, se n'è andato a 79 anni Osvaldo Vignati, l'uomo che per quasi sessant'anni è stato più di un custode: per tutti era “l'Osvaldo” ed è stato l'anima di quel rettangolo verde.
La notizia, data dalla società A.s.d. Valle Olona del presidente Claudio Berti, ha colpito al cuore l'intera comunità: «Addio caro Osvaldo! Grazie per tutto!». Poche, semplici parole che racchiudono decenni di dedizione, di lavoro instancabile e di un amore viscerale per quel luogo che per lui era, letteralmente, casa.
«L'Osvaldo? Era un'istituzione, praticamente», racconta con la voce rotta dall'emozione Antonio Minelli, una vita passata su quel campo prima da giocatore, poi da allenatore e quindi da dirigente. «Penso che fosse qui dal '66, da quando nacque l'FC Fagnano. Ha sempre mandato avanti lui il campo, le strutture. È un pezzo dell'FC Fagnano che se ne va».
Osvaldo era una presenza fissa, un punto di riferimento immutabile. Conosciuto da tutti, visto passare da tutti. «È conosciuto da generazioni di fagnanesi – prosegue Minelli - I ragazzi che lui ha visto iniziare, oggi sono papà o perfino nonni».
Il suo era quello che viene definito "il lavoro sporco", quello che nessuno vede ma senza cui nulla può funzionare. «Puliva gli spogliatoi, segnava il campo, tagliava l'erba. Faceva tutto lui, ai tempi, quando era ancora giovane», ricorda Antonio Valentino, che negli ultimi anni ha condiviso con lui la cura dell'impianto. «Era il deus ex machina di tutto l'ambiente. Un lavoro sporco, che però non era così tanto sporco, perché se non ci fosse stato lui...».
Quel campo non era solo un luogo di lavoro e passione, era il suo mondo. Non si era sposato e, dopo la scomparsa della madre, la sua vita si svolgeva quasi interamente lì. «La sua casa era lì, abitava quasi al campo», conferma Valentino. «A casa ci andava solo per mangiare e dormire». Una dedizione totale, scandita da un rito quotidiano che Minelli descrive con affetto: «Era sempre lì, mattina e pomeriggio. Si portava il panino quando c'erano le partite al mattino e al pomeriggio. Tu andavi a qualsiasi ora e, tac, lui c'era. Era proprio casa sua».
Un uomo di poche parole, a volte burbero, ma dal cuore grande e estremamente adorabile. «Era un po' lamentoso», sorride Minelli, ricordandolo con estremo affetto. «Ogni volta che arrivavi al campo ti diceva: "questo non va, quello non va, quello ha lasciato i palloni in giro...". Era il suo modo per far capire quanto ci tenesse. Se non c'era lui, si sentiva la sua mancanza».
Tifosissimo dell'Inter, un passato da ciclista (era un ex corridore, da giovane), Osvaldo era una figura che apparteneva a quel luogo come le porte e le tribune.
Fino all'ultimo. Fino a ieri sera, insieme anche all'ex presidente Albertino Macchi. Nonostante gli acciacchi e un serio problema di salute che un paio d’anni fa lo aveva costretto a un lungo ricovero, Osvaldo non aveva mai abbandonato l'impianto di via Matteotti. «Ieri io gli ho parlato, era al campo», racconta Minelli, con un filo di voce. «È vero che non stava già bene, faceva un po' fatica a respirare, però veniva sempre in sella alla sua bicicletta». Anche Valentino lo ha visto ieri: «È stato lì fino alle cinque e mezza, le sei. Mi diceva che non riusciva a mangiare, che non aveva fame. Poi stamattina ha avuto il malore che l'ha portato via». Una morte improvvisa che lascia un solo, magro conforto: «L'unica cosa di cui sono contento è che non ha sofferto».
Domenica, su quel campo che ha curato come un figlio, la società chiederà di osservare un minuto di silenzio per onorarlo. Sarà un silenzio diverso, rotto solo dal ricordo di un uomo che, con la sua bicicletta e il suo amore incondizionato, ha permesso a migliaia di ragazzi di correre dietro a un pallone. Perché, come dicono tutti a Fagnano, Osvaldo era molto più del custode del campo.















