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Basket | 01 agosto 2025, 07:00

Una volta, sempre. Buon compleanno Pallacanestro Varese

Compie 80 anni il Romanzo Varesino. Ma quello di oggi non è solo un anniversario: è anche una scelta che si rinnova in un miracolo che si ripete

Gianmarco Pozzecco con la maglia insanguinata portato in trionfo dai tifosi biancorossi: è l'11 maggio 1999, la Pallacanestro Varese ha appena vinto il suo decimo scudetto

Gianmarco Pozzecco con la maglia insanguinata portato in trionfo dai tifosi biancorossi: è l'11 maggio 1999, la Pallacanestro Varese ha appena vinto il suo decimo scudetto

Per chi scrive la prima volta fu un - palese - canestro da tre punti che gli arbitri assegnarono sventuratamente da due. A infilarlo docile nella retina un figlio di Varese, Andrea Meneghin, messi i piedi a posto e spezzato il polso con la dinamicità elegante del suo stile cristallino, frutto di miliardi di ripetizioni e di geni paterni diventati ancora più brillanti nella loro corsa sulla linea del tempo.

Marzo 1995, Varese-Milano, fase a orologio. La retina frusciò docile, Masnago si impennò sui seggiolini (era la fine del secondo tempo, partita tesa e punto a punto), ma poi il giocò si fermò inaspettatamente, mentre un brusio di disapprovazione iniziava a montare tra le gente, diventando un istante dopo l’altro rimostranza palese, quindi diluvio di fischi e urla: lo hanno dato da 2…

L’istant replay, conquista della modernità, era ancora in mente dei e allora la decisione degli arbitri diventò presto finale e insindacabile.

Quel ragazzo di quasi 13 anni, fino a quel giorno semi a digiuno dell’ortodossia cittadina dei canestri - complice un papà agnostico (nessuno è perfetto), una scuola elementare senza canestri e tanti, troppi, amici calciofili - attraversò nel preciso istante descritto un bivio catartico oltre il quale imboccò inconsapevolmente il suo destino: anche lui voleva essere parte di quella sollevazione popolare che stava animando le 5000 persone intorno, anche lui voleva rendersi partecipe di quell’istinto di protezione verso quei giocatori vestiti di bianco e di rosso, anche lui voleva condividere l’odore del sangue per un’ingiustizia che pareva temerariamente offendere l’onore di una causa collettiva così vitale e mai contemplata prima…

Eppure così prossima, fragrante e possibile.

Così sua, se solo avesse voluto afferrarla.

La Cagiva perse di due, i cinquemila di cui sopra sciamarono piano piano verso le uscite e allo stesso modo fece lui, definitivamente folgorato da una svista arbitrale sulla strada di una passione che da quella sera diventò una fonte in grado di dissetare la sua sete senza bisogno di alcun altro fluido.

Indignado per una sera, biancorosso per sempre.

Come quelli la cui prima volta è stata consumata dietro le enormi vetrate della Palestra dei Pompieri di via XXV aprile, gomito a gomito con altre centinaia di cristiani, stretti stretti lungo le linee del campo o appollaiati sulla balaustra, a veder nascere il Mito e a coniare il “Catà su”.

O la prima volta di chi si innamorò di una giocata, una sola, ma bastante per sempre e da contemplare come il sorriso di un bambino: un salto fuori scala di Manuel Raga, una mitragliata di Bob Morse, un rimbalzo di Dino Meneghin, un assist di Aldo Ossola, un sinuoso canestro in post basso di Corny Thompson, una serpentina di Gianmarco Pozzecco....

O la prima volta di chi ha avuto la fortuna di calarsi nei panni di un novello Giulio Cesare del tifo, “veni, vidi, vici”, surfando sull’onda lunga dei successi degli anni ’70, ma anche la prima volta di chi invano ha atteso un remake negli anni ’80, quando Cecco Vescovi era bello come Simon Le Bon nel poster dietro al letto di una teenager, Max Ferraiuolo “un ragazzo come noi” e Meo Sacchetti ballava sulle punte del suo quintale abbondante, più leggero di una piuma.

La prima volta dei “ragazzi del ’99, ovvero di chi ha avuto l’ardire di fare un patto con il diavolo e di barattare la gioia dello scudetto della Stella con un’astinenza che tra prima e dopo sarebbe arrivata a 45 anni, dopo i bagordi di 24 trofei conquistati in 21 stagioni.

La prima volta di chi ha provato a giocare la stessa scommessa quasi 15 anni dopo, Lucifero sempre dall’altra parte del banco, il quale prima promise, poi ci truffò proprio nell’ora dei conti, lasciandoci come unico bottino le lacrime per un polpaccio infortunato, la rabbia di una gara 7 pilotata da fischi perfidamente genuflessi ai potenti ma anche l’estasi di un tiro - Dusan Sakota, Siena, 62 centesimi di secondo sul cronometro - che sfidò le leggi della fisica e del tempo. Diventando Indimenticabile.

O la prima volta, infine, di chi ha trovato l’amore in un anonimo giorno degli anni 2000, che però anonimo lo era solo apparentemente, in realtà illuminato dal sorriso grintoso di Giancarlo Ferrero, da una difesa chiamata da Attilio Caja o da una salvezza conquistata e festeggiata come fosse un alloro. 

La prima volta non si scorda mai, ovunque sia collocata sulla linea di un tempo che oggi scavalla il numero 80: tutte, fuse insieme, hanno contribuito a vergare il Romanzo Varesino, il più bel libro che sia stato scritto sulla pallacanestro e su questa città.

Lo rileggiamo oggi, con orgoglio, consapevolezza, gratitudine. Oggi, giorno in cui per l’ennesima volta siamo anche chiamati a scegliere tra il guardare la nostra splendida Pallacanestro Varese come si fa con un’anziana moglie seduta sul divano di fronte a noi, da amare come il primo giorno ma dalla bellezza inevitabilmente sfiorita, oppure di sognarla e sperarla sempre e comunque giovane, seducente e pronta a stupirci.

Come ci seducono e ci stupiscono Librizzi e Assui, due giovani varesini - veri - di nuovo in campo da protagonisti, la risposta che certifica un miracolo che non smette di ripetersi.

Fabio Gandini

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