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Busto Arsizio | 13 novembre 2024, 15:20

Scacco al diabete: la mossa giusta è passare dal “tu” al “noi”

A colloquio con il dottor Marco Passamonti, diabetologo dell'Istituto clinico San Carlo, alla vigilia del 14 novembre, Giornata mondiale del diabete. L’evoluzione dei farmaci, l’importanza degli stili di vita, il ruolo dell’informazione e dell’alleanza medico/paziente: «Al diabetico non dico mai “faccia” ma “facciamo”. Insieme»

Scacco al diabete: la mossa giusta è passare dal “tu” al “noi”

«Un paziente informato è più consapevole e più motivato. Convive con la malattia, non trascura le attenzioni che deve avere nella quotidianità, si sottopone ai controlli. E tendenzialmente vive meglio». Marco Passamonti, diabetologo in forza al San Carlo Istituto Clinico, non ha dubbi: la sfida al diabete si disputa bene se si fa gioco di squadra. «Al paziente – scende nel concreto – cerco di non dire “faccia questo o quello”. Gli dico “facciamo”. Insieme. Deve entrare in gioco il “noi”. E perché questo accada occorre innanzitutto che il medico informi chi ha di fronte nel modo più puntuale possibile, evitando che il diabete venga sottovalutato o, al contrario, che sia percepito come una sorta di condanna».

La consapevolezza sul tema è più diffusa rispetto al passato («Sta lentamente migliorando, anche grazie alla sensibilizzazione indotta dagli operatori sanitari» conferma il medico) ma le reazioni, in particolare di fronte alle diagnosi di diabete di tipo due, tendono a essere improntate «…a una sorta di iper-preoccupazione. Capita spesso di cogliere rammarico, amarezza, delusione. E si percepisce tuttora l’ansia da iniezione: allora devo fare l’insulina, dicono subito in tanti, evidentemente preoccupati. Non è che non la si usi, l’insulina, ma non è il provvedimento terapeutico primario. Anche da questo si deduce l’importanza di spiegare, raccomandare, dialogare».

Azioni che toccano una percentuale significativa di popolazione: «La prevalenza del diabete è in costante aumento. Parliamo, come noto, di una malattia cronica, che impone, dalla diagnosi, una medicalizzazione continua e follow-up rigorosi. Trascurata, questa patologia comporta, fra l’altro, un più alto rischio cardiovascolare. Infarto del miocardio, ictus, arteriopatie, scompensi cardiocircolatori, aritmie possono essere dovuti a diabete. Occorre tenere presenti tutti gli aspetti di ordine cardiovascolare, a partire da pressione arteriosa e colesterolo cattivo. Se mal curato, il paziente può sviluppare un’insufficienza renale cronica, di qui la necessità di conoscere la funzione renale per prendere decisioni in merito ai farmaci. I quali offrono, oggi, aiuti nettamente più efficaci rispetto anche solo a pochi anni fa. E possono avere un effetto protettivo cardiorenale. In generale, è chiaro che non ci si può limitare al controllo dello zucchero nel sangue».

Gli stili di vita contano? «Certo. Anche su questo, sull’importanza del regime alimentare o sui rischi connessi all’obesità credo che ci sia una consapevolezza, nella popolazione, più diffusa che in passato. Va sottolineato, del resto, che il diabetico non è necessariamente una persona costretta a una vita castigata. I pazienti attenti imparano a dosare correttamente l’insulina se, per esempio, rompono la routine con una pizza fra amici. E ci sono sportivi professionisti con diabete di tipo uno a dimostrare che non esistono strade precluse a priori. In generale, il diabetico può condure una vita, per durata e qualità, normale. Amo il basket e so che in una squadra non servono solo giocatori alti più di due metri. Piccoli e lunghi, con ruoli diversi, devono collaborare. Ecco, se medici e pazienti fanno lo stesso, contro il diabete ci sono buone probabilità di successo».

S.T.

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