… .quando la vendemmia si faceva a settembre. Reminiscenze di tempi andati. Dopo il caldo torrido di "giugn e lùi, a tera l'à bui" (giugno e luglio, la terra bolle), ci si tuffava in settembre, col "su cal vò in dul buscu, d'austu" (sole che va nel bosco, di agosto) e si assaporava il caldo mite, non opprimente, ma sempre all'insegna di giornate dal cielo terso e dalla temperatura gradevole.
Tempo di vendemmia, dunque. I filari dell'uva si presentavano rigogliosi, mostrando i grappoli d'uva, polposi e ben temprati. Lo zio Aldo assaggiava qualche acino, qua e là e decretava alfine "sa podi catàla" (si può coglierla) riguardante l'uva. Erano già pronti cinque o sei uomini con le relative ceste, a cui facevano da corona almeno dieci ragazzi festosi che avrebbero dovuto (uso il condizionale) aiutare a cogliere i grappoli d'uva, ma ogni tanto scorrazzavano per la campagna per poi ubbidire agli adulti e "darsi al lavoro" quasi come abitudinari contadini.
C'era chi cantava uno di quei motivi d'allora, simili a "stornelli romani", tipo "quel mazzolin di fiori" o "lo spazzacamino" e altri invece che "ci davano dentro" a tagliare i graspi alla radice, con forbici grandi o trochesi, per mantenere intatto il relativo grappolo. Il profumo dell'uva si espandeva come un'aiuola piena di viole mammole. L'allegria era "in tasca" a tutti e la giovialità faceva il resto.
I cesti colmi di grappoli d'uva venivano caricati sul carretto trainati dal cavallo-Piero e portati a casa per poi buttarli nel grandioso tino, alto più di due metri e dalla circonferenza che per abbracciarla, occorrevano quattro uomini. Noi ragazzi, aspettavamo con ansia proprio "quel momento" - il "via" lo decretava lo zio Aldo e consisteva nell'ospitare nel tino, quattro ragazzi alla volta, a piedi nudi, con addosso i pantaloni e la maglietta "di buon comando" - dovevamo pigiare, saltando e assaporare sul volto, gli schizzi che provenivano dall'uva pestata - un'ora buona per squadra e altri quattro ragazzi, prendevano posizione.
Intanto, dalla parte inferiore del tino, lo zio Aldo raccoglieva il nettare che riponeva dentro le damigiane già lavate, asciugate e pronte per accogliere il "clintòn" che dava vita al "mericanèl" che poteva essere assaggiato alla bisogna, ma che irresistibilmente veniva offerto col "cazù" (mestolo) ai lavoranti-uomini - l'operazione durava due o tre giorni. Sino a quando venivano raccolti i graspi, frutta e"ignudi" (per farne poi, grappa), privati dagli acini che si erano "convertiti" in vino.
Poi, al sabato; quando l'operazione vendemmia era terminata, si consumava il "banchetto" a base di coniglio arrosto, lesso coi tagli di carne appropriati, il fatidico "bruscu" (sottaceti) e, per finire, frutta e tranci di gorgonzola e di "grana" per far dire ai commensali "a buca l'e mai stroca, sa la sa non da vaca" (la bocca è mai stanca, se non ha il sapore della mucca) vale a dire, formaggio per completare il pranzo.
Il "mericanèl" era un vino leggero, ma … a berne in quantità "più che modica" faceva il suo bell'effetto in ilarità e …. Giusepèn, si inserisce per farmi concludere il pezzo con un laconico "seu giuan, alua" (ero giovane, allora), ma quanto basta per ammonirmi "ti, candu te finissei da pestò u uga, te finii in dàa brenta e a to moma, la ta freghea dapartuto" (finivi nel mastello e tua mamma ti strofinava dappertutto) aggiungendo a più riprese "te spuzi da ven" (puzzi di vino) e sino a quando "l'odore era finito, lei ….mi "strofinava" quasi fosse un cencio rabbrividito.