Ieri... oggi, è già domani | 13 luglio 2024, 05:00

"… a schirpa" - il corredo ….

Si trovavano a sera, appena dopo l'imbrunire, le vecchierelle, a ragionare di schirpa.

"… a schirpa" - il corredo ….

Si trovavano a sera, appena dopo l'imbrunire, le vecchierelle, a ragionare di schirpa. Scialetto sulle spalle, canute, capo chino a declinare di antichi rosari, a discorrere di figlie, figli o di nipoti. Mai volgari. Sempre con le rughe addosso e un pizzico di civetteria, nel novellare "ai miei tempi", quasi fosse trascorsa una vita, tra i cinquanta e i sessant'anni. Oltre, era difficile arrivarci!

Loro, le comari, non si sentivano antiche. Avevano lo spirito dolce nello sguardo e gli occhietti aguzzi, quasi fossero spine del tempo. Così dolci e così cattive che non risparmiavano la gioventù o quel che resta di una vecchiaia precoce che cominciava a farsi sentire. La "schirpa", il "corredo" di una sposa. Il limite tra fanciullezza, pubertà e … tempo di marito. Dove non si scappa. Dai 16 ai 20 anni "eri buona". Cioè a dire che il tempo era pronto per trovare un uomo che potesse condurre all'altare la sua donna, era giunto. Inesorabile e vero. Senza conoscere il "calvario" di gemere in silenzio e la tracotanza di un semplice "che faccio?" - non era lecito, "ribellarsi". Mamma e babbo, accettavano le richieste. Era difficile, valutare. Di fronte a un primo diniego, c'era l'alternativa: perché? e non era soave dire o ipotizzare una parvenza di ragione. Sceglieva l'uomo. La donna (non dico sottomessa, ma quasi) aveva lo sguardo da portare avanti. O lo mostrava truce e pauroso. Oppure non anteponeva alcuna richiesta. E …. portava la schirpa. Quell'insieme di lenzuola, coperte, federe e abiti intimi, da dire alla famiglia di chi l'aveva prescelta (l'uomo) ….."eccomi" in un "involucro" di paure, credenze, credulità che per una femmina era l'ignoto. E quel che sarebbe successo, somigliava a un'incognita da scoprire.

Fulcro del "baratto", la verginità della donna; senza la quale c'era solo disprezzo, acrimonia, dentro l'asprezza di giudizi volgari che tatuavano l'anima e la rendevano "marcata a fuoco". La schirpa  faceva decidere il valore di una fanciulla. La famiglia decideva la bontà dell'affare. Poi si andava a conoscere le "doti" (non la dote) dell'uno e dell'altra, senza reticenza: Guai, non poter procreare. Tutto cominciava da lì; per lei e per lui.

Non sto illustrando un tenore di vita ancestrale. Ho elementi per provarlo. Nonna Luigia Azzimonti (detta Luisina - fiera e giunonica, il cui appellativo mi sembrava improprio, a 18 anni subì un grave incidente sul lavoro: la navetta del telaio, per cause "pazze" e non da errore, fuoriuscì dal suo alveo e andò a conficcarsi nell'occhio sinistro della stupenda creatura femmina. Fu un dramma: "mo, te me oei pù" (ora non mi vuoi più) disse al suo Pasquale (per tutti Pasqualeau) - lui, ardente giovane dei Marcora che le aveva buscate (botte)  da quelli di San Giovanni (lui era di San Michele e si era sentito dire "va a to dona a ca tua" (vai a prendere moglie a casa tua, al tuo rione), rispose sereno alla sua Luisina: "dighi al to po’ da preparò i corti, ca ma spusam" (informa tuo padre di predisporre i documenti, che ci sposiamo". Così fu: schirpa pronta e matrimonio in essere. A 19 anni nonna partorì la "zia Pinèn" (all'anagrafe, Giuseppa, da non confondere con Giuseppina - lei era orgogliosa di quel Giuseppa), a cui seguirono molti figli (papà mi disse un giorno che nonna partorì 12 volte, con due parti gemellari - uno lui e un gemello e l'altro zio Giannino e un gemello).

Si può "parlar d'amore?" - testimoni dicono di si: "ul me Marcora" diceva nonna, "a me Luisina" diceva nonno - non li conobbi: nonno morì nel 1939 (64 anni) e nonna nel 1943 - io sono del 1946.

Per dire chi era nonna, basta un esempio: una pattuglia di squadristi, si presentò a casa-Marcora per l'oro alla Patria "imposta" dal Benito - erano in cinque: il capo pattuglia e quattro sgagnozzi; uno dei quali, senza preamboli prese la mano della Luisina per toglierle la fede nuziale - la riottosità di nonna, non si fece attendere: "tegn giù i man, sa da non te ciapi 'n sberluton" (tieni a posto le mani, altrimenti ti mollo un ceffone) - ci fu, certo che ci fu, la reazione del giovane in divisa, ma intervenne lo sgagnozzo-capo. Nonna disse "chesta chi" (questa qui, rivolto alla fede nuziale) " ma l'à metua su 'l me Marcora e dumò lu, làa tiamala giù" (me l'ha messa il mio Marcora e solo lui me la può togliere) - conciliabolo veloce e schietto e la pattuglia andò a reperire il nonno "in dul Mugiòni) (Stamperia Pozzi, in via dei Mille a Busto Arsizio) dove nonno faceva il fuochista (picu e pala) cioè lavoro di muscoli per alimentare la caldaia che produceva "vapore" per la fabbrica. Condussero nonno a casa e lui "eseguì l'operazione" -fede alla Patria-  poi, la pattuglia se ne andò e nonno "Luisina, chi lì i pudean sparoti" (Luigina, quelli, avrebbero potuto spararti) al che nonna replicò: "a men?, a ga deu 'n sberlutòn a perogn a chi lì senza tema" (a me?; avrei dato uno sberlone a ciascuno a quelli senza riverenza). - Giusepèn me l'ha confermato, anni dopo!

Ecco, nonna e nonno, "prototipo" di come si formavano all'epoca, le famiglie …. un giorno o l'altro si sarebbe dato sfogo all'amore. A sera, davanti all'uscio di casa, le donne, con sedia appresso, ciascuna la propria, avrebbero continuato il discorso sulla "schirpa" e sul "maiassi" (maritarsi).

 

Gianluigi Marcora

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