…..premette, Giusepèn … sorride, poi si lascia andare in una risata sardonica, quasi maligna, ma … eloquente. Deve raccontarmi un detto antico, usuale per quei tempi, eloquente e che fa sorridere. Dice "a ta'n fesu ul cù d'ai" che detto così richiama unicamente stupore. Quindi va spiegato. Era usuale, la domenica che le massaie e le donne di casa che cucinavano il lesso e che, per loro, era la Festa per eccellenza: l'opulenza, se vogliamo, il darsi un tono; il convincersi (come diceva mamma) che "i sciui in minga vachi, ma i puariti in minga asniti" (i signori non sono vacche, ma i poverelli, non sono somari) - poi c'è quel "minga" che non è Bustocco, ma è Milanese e ci sta, nel detto, per il fatto che i contadini si sono "evoluti" e sanno che il "minga" l'hanno imparato e che a Busto Arsizio il "niente" si dice "naguta".
Non perdo il detto iniziale, relativo al "a ta'n fesu ul cù d'ai" tradotto in "ti "infeso" il sedere di aglio". Come ho detto, non c'è nell'italiano il verbo "infesare", ma si tratta solo di accostare il pensiero all'azione ed i Bustocchi, in fatto di fantasia, sono dei maestri.
E siamo all'arte culinaria. Non quella che troneggia in TV con cuochi "inventati", o di quelli che "inventano" certe alchimie di piatti che accostano a disdoro con sani alimenti.
Allora, il "pezzo di polpa" che si andava a comprare (di vitello o di manzo), lo si cucinava, non tanto con delle "varianti", ma c'era un'operazione comune che coinvolgeva chef, cuciniere, cuochi di prim'ordine e pure …. cuochi dilettanti (come lo era la mia Pierina). Quella "polpa" che ho citato, riceveva tale operazione: col coltello si facevano due o tre o quattro buchi (dipende dalla grandezza del pezzo di carne e pure dal numero dei commensali) e dentro quei pertugi, si infilava una "testa di aglio" (non tutta intera, ma con uno o due spicchi). Il motivo? Durante la cottura, l'aglio insaporiva la carne e, al momento di servire sul piatto-grande il prelibato lesso, si avvertiva un profumino delizioso che sembrava già di avere quel lesso, sotto i denti.
Sin qui, Giusepèn, illustra il piatto gastronomico. Solo i ricchi mangiavano bistecche o insaccati, tipo barbecue e la gente umile, aveva a disposizione il LESSO tanto quanto ci si poteva permettere. E arriviamo al detto del titolo "a ta'n fesu ul cù d'ai" che suonava quasi a minaccia per chi lo si sentiva appioppato. Ve l'immaginare la mamma (era lei la cuoca) che di fronte a una marachella del figlio, lo prende, gli toglie pantaloni e mutande e proprio lì, nel delicato pertugio, immette uno o due spicchi d'aglio? Solo a pensarci c'è di che rabbrividire, ma siccome i bimbi di allora erano un tantino "ingenui", si pensava che davvero la mamma, li metteva sulle proprie ginocchie e …."puffate" con le sue possenti dita, "infesava" il sedere. C'è da rabbrividire, ma Giusepèn dice subito che nessuno mai ha patito una pena del genere.
Fatto è che il "vizio" (quello di mettere la testa di aglio dentro il lesso) lo si è perso …."si, ma" -dice Giusepèn- "te a meti ul lessu d'una oelta cun che dul di din cò" (vuoi mettere, il lesso di una volta, col lesso odierno?) e, "a pensaghi pulidu" (a ben pensare), Giusepèn non ha tutti i torti.
Fatemi dire una …. chiosa. Abbiamo pranzato insieme, col Giusepèn e Maria, a casa loro e proprio con una "sberla di lesso" (per dire che era tanto) con contorno di "bruscu" (acetelli) e di mostarda (a me piace il madarino …. quello che fa "riscià i busechi" per il suo essere piccante e …'.prima di prendere la mia fetta, ho rovistato in giro ed ero alla ricerca del "taglio" dentro cui avrebbe dovuto esserci "ul co d'ai" - non l'ho trovato. Non c'era, ma il lesso cucinato da Maria era …. grandioso, succulento e appetibile che ….. di più non saprei dire. Manco a dirlo, Giusepèn ha tirato in ballo "chèla tusa ca l'à ma toei ul Nocino" (quella ragazza che mi ha acquistato il Nocino) - che dire, Giusepèn ha "un debole" per quella deliziosa creatura femmina. E Maria ce lo serve con piacere.