Due parole d'altri tempi. Che non vengono più utilizzate, salvo che dai "petitusi" gli studiosi raffinati della Lingua Bustocca. Giusepèn si bea di avermele ricordate. Sono: "a marna e a sci-sci". Siccome oggi, sia la marna sia la sci-sci non sono più di moda, vediamo allora la loro funzione.
Quella della "marna" per una ragione ovvia. Era il mobile capiente dove si metteva dentro il pane. Le famiglie erano numerose e, il pane, non doveva mai mancare in casa. Dentro "a marna" entravano "i roei da pan mistu, da pan segrusu, da pan gialdu" (le ruote di pane misto, di pane con la segale, quello giallo di mais) e qui devo per forza citare il mio amico Erminio Luraschi, autentico esperto in pane: di tutti i pani, sia di quelli citati sia delle 25 (non è un errore, ma venticinque) specialità di altro pane. Cito le "michette", il ferrarese, il francese, il pane con le olive, con l'uva (da non confondere col figascieu che è un dolce, ma che viene preparato con la stessa arte con cui si prepara il pane) e altre specialità con cui si utilizza il "lievito madre" o che richiedono lavorazioni differenti, l'una con l'altra. Il Panificio Luraschi non è un rivenditore di pane, ma fa il pane, nel proprio "prestino", quindi il "Luraschi l'e ul prestinè dal 1955" e vende ogni tipo di pane di produzione propria.
La "marna"era una specie di baule, dove "i roei dul pan" (le ruote del pane) stavano benissimo. Sin dal mattino, vi si accedeva per raccogliere il pane che serviva per la colazione: Quella tipica era a base di caffelatte (il più delle volte con caffè d'orzo o di miscela scadente), dentro cui si intingeva il pane, ma pure con una spalmata di marmellata, per "indulzì a buca" (addolcire la bocca) e talvolta, con una spalmata di burro "candu d'à pudea" (quando era permesso).
Le brioches o le tortine, allora non si "usavano": sono arrivate dopo. Poi, si prelevava "dàa marna" il pane per il pranzo. E, di fronte a piatti rurali, tipo i buscitti o a buseca (trippa), prima ancora di cominciare a nutrirsi ci si sentiva dire "ma racumandu, cunpesa cunt'ul pan" (mi raccomando, aggiungi a quanto hai nel piatto, il pane, per "compesare" (accompagnare) la leccornia. Per la merenda, la marna si apriva per il "pan e ciculatu" (pane e cioccolato - c'era l'Italcima) o per il "pan, zucar e butei" (pane, zucchero e burro) che suscitava in tutti, tanta ilarità. Insomma, prima di spalmare lo zucchero e il burro sulla fetta del pane, si prendeva quest'ultima e la si "puciava" nell'acqua …. proprio così, acqua e subito dopo si appoggiava la fetta di pane bagnata nel barattolo che conteneva lo zucchero, quindi si metteva sopra al pane bagnato e zuccherato, il burro che si spalmava sull'intera fetta di pane. Stesso discors per la cena: pane raccolto dalla marna e …. altra raccomandazione: "candu te a snenzò'l pan fal sul piatu e i fregui chi burlan giù te i tii a presa e te i meti in buca" (quando devi sminuzzare il pane, fallo sopra il piatto e le briciole che dovessero cadere sulla tovaglia, le raccogli e le metti in bocca)..
Ecco la merenda tipica per i ragazzi di allora e come si utilizzava il pane per ogni pasto in famiglia.
Andiamo ora a visitare la sci-sci che nulla ha a che vedere con lo sport sulla neve. Nelle camere da letto sia delle famiglie benestanti sia in quelle della gente comune, c'era un mobiletto con specchiera e poltroncina su cui ogni donna si sedeva e dava corso all'operazione di pulizia e (se vogliamo) anche del trucco. Chiaro che nelle case dei contadini, la donna si spazzolava i capelli, formava lo chignon utilizzava "a petenosa" (pettine e spazzole per capelli per mettersi in ordine. Nelle case dei benestanti, la sci-sci conteneva il catino con brocca dell'acqua, il porta-sapone, il porta-asciugamano e sotto, nella parte inferiore del mobile, c'era pure il pitale che serviva per la notte.
La sci-sci era dotata di una specchiera ovale, ad altezza di …. busto di donna e, madame eseguiva le operazioni di pulizia, ma pure di trucco, con tanto di beletu (rossetto).
Come si evince dal racconto, la sci-sci era considerata un'esclusiva per la donna e doveva sempre essere pulita sia nella specchiera sia sul banco dove erano depositati i saponi e le creme. Mai uscire dalla "stanza" (camera da letto) se non si era in ordine e mai riordinare la camera nuziale, senza avere prima ordinato e pulito la specchiera.
Giusepèn per tutto il tempo della stesura del "pezzo" ha semplicemente annuito, ciondolando la testa per assenso, senza alcun commento. Solo alla fine della stesura del racconto, ha detto "scrii che a sci-sci l'ea non un lussu, ma un segn da pulizia e da rispetu" (scrivi che il mobile non era un lusso, ma un segno di rispetto per l'igiene e per se stessi) … quanta melanconia, Giusepèn. Te la vedo nello sguardo, nella mente, ma soprattutto nel cuore.