Ieri... oggi, è già domani | 21 novembre 2022, 06:00

"a saèl" - saperlo

Dapprincipio, un po' di titubanza, la avvertivo. Portare Giusepèn alla Pinacoteca di Brera mi sembrava un azzardo.

"a saèl" - saperlo

Dapprincipio, un po' di titubanza, la avvertivo. Portare Giusepèn alla Pinacoteca di Brera mi sembrava un azzardo. Solo per l'età di Giusepèn, s'intende. Non altro.  Pensavo al disagio della "promenade" in Milano e a quanto potesse interessare, a Giusepèn il "tesoro" dell'Accademia. E ho osato. "Dem a fo 'na spasegioea?" (andiamo a compiere una passeggiata?).  Ovviamente ho risposto di si, anche se il viso corrucciato della Maria era eloquente.

Ci pensa mia figlia a prenotare i biglietti di ingresso e pure ai biglietti per il treno, per essere poi "comodi" nell'affrontare la trasferta. Alle 7.58 saliamo su "regionale 2525" alla stazione Centrale di Busto Arsizio, con destinazione "Porta Garibaldi" in Centrale a Milano. Si discute che, a diventare vecchi, qualcosa si guadagna. Prezzo d'ingresso a "Brera", 15 Euro per ogni adulto - chi è over 65 e noi lo siamo, solo 1 Euro "nanca 'n cafe" (nemmeno il costo di un caffè) - alle 8.40 scendiamo dal treno. Giusepèn indossa "ul visti dàa festa" (l'abito buono) ed è tirato a lucido con quel sorriso-sornione che solo lui può mostrare. Il passo è veloce e non nascondo che a stargli dietro, ci stavo senza trepidare.

L'ingresso nella Pinacoteca è questione di minuti e Giusepèn ne approfitta per dire "andoò a …" e non termina la frase, ma mi fa capire che deve entrare in bagno. "l'e bel netu" (è pulito) sentenzia poi ed è un ottimo viatico. Cominciamo il tour, quasi in silenzio. Mi aspetto le domande di Giusepèn, ma a un certo punto dice "brai darbon; brai, propri brai" (bravi davvero; proprio bravi) e si riferisce agli Artisti che hanno saputo offrire alla nostra Cultura un "timbro" trionfale. Giusepèn è curioso e mi chiede di leggere la "didascalia" che c'è alla base di ciascun quadro. Intanto fotografo col cellulare alcune opere che particolarmente mi piacciono. Quando Giusepèn vede il "Cristo morto" del Mantegna, resta esterrefatto. Commenta così" ma l'à fei su 'na tela a pituò un cadavar a cumenciò di pe" (come ha fatto il Mantegna a illustrare il Cristo morto a cominciare dai piedi) ed è ciò che dimostra la bravura di Mantegna a proporre sulla tela sia il valore umano del Cristo che giace, sia la prospettiva che fa somigliare il quadro a una lunga strada. Si girano alcuni saloni e ci imbattiamo nel "Silenzio" di Piero della Francesca. Dice Giusepèn "a gan tuci giù'l muson e gan tuci a buca seroa. E ul Bambèn l'e lì da par lu e nanca a Madona lu guarda" (hanno tutti lo sguardo triste e hanno tutti la bocca chiusa. E Gesù Bambino è solo e nemmeno la Madonna gli dedica uno sguardo). Mi affretto a leggere la "didascalia" e rispondo a Giusepèn "vero: le figure guardano lontano e i loro sguardi non si incrociano. Segno che ciascuno ha delle responsabilità e ciascuno deve meditare sul presente, per impostare il futuro. E lo devo fare in silenzio, senza avere la tentazione di una interferenza esterna. Anche la Madonna non si cura del Bambino, perché sa del suo destino e deve quindi riflettere su quanto avverrà dentro il "mistero". Annuisce, Giusepèn, ma gli "leggo" una specie di dissenso con l'illustre Pittore. La Mamma Celeste è dapprincipio mamma e dopo  mamma di un mistero. Giusepèn non accenna a chiedere di fermarci e non dà segni di cedimento. Poi, nella sala dei ritratti riconosce quello dedicato ad Alessandro Manzoni e ne parla contento. Davanti a un quadro del Caravaggio, Giusepèn si illumina. Io so che lui sa della storia di Michelangelo Merisi (detto Caravaggio) e taglia conto "chel lì, n'a fei pissè che Raeta, ma a lusi di so quadar la ma scolda ul coei" (quello lì, ne ha combinate peggio di Raeta, ma la luce dei suoi quadri, mi scalda il cuore) - per chi non è di Busto, il "Raeta" era un malandrino che ne combinata di cotte e di crude e quando uno superava i limiti, gli si diceva proprio quel che ha detto Giusepèn.

Non stiamo qui a commentare tutto il resto, per un semplice motivo: Giusepèn è contento della "passeggiata" inusuale, ma mi fa capire che è contento di stare insieme. Ci fermiamo al bar dopo "due ore e mezza" di "Brera" ed è presto per tornare a casa. "ndem a ide'l Dom?" (andiamo a visitare il Duomo?) e gli dico di si, senza chiedergli altro. Ci andiamo in taxi e lo stupore di Giusepèn nella piazza affollata di ogni tipo di persona (dal manager, alla donna di casa, dai nulla facenti a chi è indaffarato, ai giovani, ai meno giovani, agli studenti) è per lui qualcosa di diverso rispetto al vortice di vita di casa nostra. Però, nota i "ghisa", due "tusan vistii da vigil" (due ragazze vestite da vigilesse) e non scrivo le reali parole del suo commento. Passaggio prima in Galleria, poi Alla Scala, prima di ritornare in Piazza Duomo. Entriamo per una "ricognizione" e Giusepèn ripete "che bel" (quanto è bello) a ogni angolo della "Chiesa" e alla "Madunina". Poi, via in "metro" e sul binario 10 è già in attesa il treno che dovrà portarci a casa con partenza alle ore 14.25. Giusepèn è così contento che mi ripete un sacco di volte, i "particolari" di Brera, la chiacchierata al bar, la camminata in Galleria e in Duomo. Alle 15.10 siamo a Busto Arsizio e lui vede subito la sua Maria che ci sta aspettando. "ma l'e'n dei po’?" (come è andata, papà?) e Giusepèn si scatena come un fiume in piena. Maria dice d'aver preparato "quescussulina da mangiò" (qualcosina da mangiare) e si pranza tutti e tre. Per almeno venti volte (dicasi VENTI), Maria sollecita papà "al ven fregiu" (viene freddo) e allude al risotto pronto da qualche ora e riscaldato. Per un po', Giusepèn non risponde, poi "capissala che sun stei ben e u usti tan robi bei" (capiscila che sono stato bene e ho visto tante cose belle) ed è una goduria vedergli addosso l'entusiasmo della persona semplice che ringrazia la vita per una esperienza mai provata prima.  (quasi non lo volevo scrivere, ma …. non potevamo certo dimenticare il …. Nocino). Ciao caro il mio Giuseppino. Ti voglio bene!

Gianluigi Marcora

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