È la mattina del 3 settembre 1972, domenica. Giochi della XX Olimpiade moderna. All’Olympiastadion di Monaco di Baviera si svolge la gara di salto ostacoli a squadre di equitazione. Per la nazionale italiana, il primo a scendere in pista è il quasi trentaquattrenne Vittorio Orlandi, da Cassano Magnago, in sella alla sua Fulmer Feather Duster. «Abbiamo vinto il bronzo per merito di quella cavalla» ricorda bene il fantino.
È passato mezzo secolo, e oggi Orlandi ha quasi ottantaquattro anni, ma le immagini di quella gara sono ben nitide nella sua mente. Una medaglia di bronzo fiore all’occhiello di una lunghissima carriera ad altissimi livelli nel mondo dell’equitazione, non solo in sella a un cavallo.
«Fin da bambino avevo tanta passione per i cavalli, ricordo che ho vissuto qualche anno sempre con un asinello di pezza vicino. Quando avevo nove anni, mio fratello ha cominciato a praticare a Forte dei Marmi, e quando è tornato siamo andati insieme alla scuderia Felli di Casorate, dove ho cominciato a montare i cavalli, tutte le mattine alle 5».
Così fino ai 16 anni, quando Vittorio riuscì a comperarsi un cavallino da calesse con i propri risparmi, e che andava a nutrire tutte le mattine prima di andare a scuola. Poi l’inizio con il salto ostacoli e l’arrivo dei primi sponsor, i quali permisero a Orlandi di montare nuovi cavalli e proseguire la sua crescita.
«Mi sono spostato poi alla scuderia Mancinelli, dove ho cominciato attività nazionale, fino ad arrivare a partecipare alla prima Coppa delle Nazioni ad Aquisgrana, tempio del salto ostacoli mondiale».
E poi l’incontro che diede la svolta alla sua carriera: quello con Fulmer Feather Duster, una fantastica cavalla irlandese, molto vicina a un purosangue, che permise a Orlandi di diventare un componente della squadra nazionale. Fino ad arrivare all’indimenticabile esperienza dei Giochi Olimpici di Monaco 1972, nell’allora Repubblica Federale di Germania.
«Ricordo tutto come se fosse adesso. Il clima olimpico è bellissimo, così come il clima che c’è fra tutti gli atleti. Non c’è una manifestazione che nemmeno si avvicina alle Olimpiadi, i campionati del mondo sono una cosa molto diversa, sono più poveri perché sono per specialità».
Un clima politico, quello del 1972, con il mondo e una Germania ancora spaccati in due, che non impedì agli atleti di fraternizzare tra di loro: «Frequentavamo molto i convegni e c’era molto scambio tra noi e i cavalieri di altre nazioni: eravamo fuori dal clima politico, lo sport ci rendeva tutti uguali».
Insieme ai fratelli D’Inzeo, Raimondo e Piero, e a Graziano Mancinelli, la mattina del 3 settembre Orlandi si presentò così alla gara di salto ostacoli a squadre.
«L’emozione era tantissima: ho avuto la fortuna di essere il primo a partire, senza sapere nulla circa le difficoltà che potevano nascere dal percorso. Ho fatto la mia gara con facilità e ho commesso due errori nelle due manche, per colpa mia, perché la cavalla si è comportata magnificamente. Diversi concorrenti hanno detto “se un dilettante come Orlandi ha fatto quattro penalità, il percorso è facile”. È stata una gara molto combattuta e molto incerta. Tedeschi dell’ovest e americani (primi e secondi, ndr) erano superiori alla nostra squadra».
Le Olimpiadi di Monaco passarono tristemente alla storia per l’attentato in cui persero la vita, tra atleti e addetti ai lavori, undici israeliani, per mano della cellula terroristica palestinese Settembre Nero. Un evento storico che però Orlandi e i suoi compagni non percepirono nel momento del suo accaduto.
«Nella nostra zona era tutto tranquillo, credo che anche il villaggio olimpico cercasse di non fare chiasso sull’accaduto. Noi abbiamo saputo dell’attentato il giorno dopo, come notizia. Non ho partecipato alla manifestazione tenutasi l’indomani, semplicemente perché non siamo stati convocati».
Anche ai Giochi Olimpici del 1968 Orlandi visse, involontariamente, con la stessa indifferenza la strage di Piazza delle Tre Culture, quando l’esercito aprì il fuoco su una manifestazione studentesca: «Io ho fatto la riserva ai giochi di Città del Messico, quattro anni prima. Eravamo su un grattacielo e in piazza, sotto di noi, c’erano i carri armati, ma non li avevamo nemmeno sentiti».
Il termine della carriera agonistica di Orlandi non coincise con la fine della sua passione e del suo impegno per il mondo dell’equitazione.
«Nella mia carriera avevo visto varie gare fatte da pony con i bambini, e mi sono chiesto come mai in Italia non avessimo una specialità del genere», ed ecco che Orlandi, insieme alla sua collaboratrice Lorena Simpson, fondò il Pony Club Fiorello (dal nome del cavallo di Raimondo D’Inzeo, che fu donato a Orlandi dopo le Olimpiadi di Monaco) a Casorate, ottenendo successo anche da questa attività.
«Decidemmo così di portare otto pony dall’Inghilterra per cominciare. Per diversi anni ho sviluppato questa attività: abbiamo partecipato agli europei a squadre e abbiamo vinto una medaglia d’oro nel salto ostacoli con Andrea Moglia di Gallarate. Dopo, questa specialità è stata assorbita dalla federazione, che ha continuato lo sviluppo».
Un’iniziativa di cui però Orlandi va particolarmente fiero è l’aver fondato l’Associazione Italiana Proprietari di Cavalli da Equitazione.
«Per diversi anni mi sono occupato di dare i miei cavalli a giovani talenti. Ho avuto un cavallo molto buono che ha partecipato al campionato del mondo a Roma nel 1998». Questo cavallo, Orlandi l’aveva affidato a colui che egli stesso ha definito “suo figlioccio”, ovvero il brasiliano Rodrigo Pessoa, vincitore di tre medaglie olimpiche (di cui una d’oro) tra Atlanta 1996 e Atene 2004, oltre al titolo mondiale ottenuto proprio a Roma nel 1998.
«Però ero molto deluso, come proprietario, di non aver avuto alcun riconoscimento per questa vittoria, perché i riconoscimenti vanno al cavaliere. Indignato, ho fatto nascere l’associazione dei proprietari, e successivamente abbiamo ottenuto dalla federazione il riconoscimento nello statuto della figura del proprietario».
Ma fra tutti gli allievi che ha avuto, ci tiene a citarne uno: il fantino di fama nazionale Filippo Codecasa, perché «è il miglior allievo che abbia mai avuto».
Attualmente Orlandi, oltre a essere un imprenditore nel settore tessile, è presidente del comitato regionale della Federazione Italiana Sport Equestri, ma la sua vita a stretto contatto con cavalli e giovani fantini non è terminata.
«Sono lieto che questa mia passione non mi abbia mai lasciato: ancora oggi, quasi tutte le mattine le passo in scuderia».
E ora suoi allievi sono dei piccoli cavalieri per lui molto speciali: «Ora anche i miei nipotini fanno equitazione, sono contento che la tradizione continui».