"Suguta non a menò ul turon" la traduzione è un po' spiccia, ma merita una spiegazione. Ed ecco il significato "non continuare a parlarne... tanto, chi ha da dire, avrà sempre da dire". In verità, il "torrone" citato nel detto Bustocco c'entra un fico secco col discorso. E' solo un modo di dire che si usava (e si utilizzava) anni fa, in epoca remota in Busto Arsizio.
Quando un oratore esagerava nella prolusione, lo si catechizzava con quell'espressione. Quando poi, in un dialogo chi aveva "il pallino in mano" non lasciava spazio agli altri, ecco che il "menà'l turòn" diventava un imperativo a smettere.
Ne parliamo, Giusepèn ed io, non tanto per... capirci... noi ci comprendiamo a menadito, in ogni sfaccettatura del dialogo. Ne parliamo solo per diffondere la notizia che il nostro libro dal titolo "ùl Giusepèn" sta per essere diffuso in Libreria, anche se non sappiamo tuttora quando avverrà la Presentazione. Noi, "ul turòn" non lo "meniamo" e nemmeno... meniamo il can per l'aia. Solo che, in qualche maniera dobbiamo diffondere la notizia e non vogliamo certo essere "invitati" a destra e a manca, elemosinando gli incontri.
C'è chi, pur di far sapere quel che scrive, "rompe le palle a tutti" (manca il Convento delle Suore) e pur di apparire è disposto a "marce forzate" senza soddisfare le sue aspettative. Poi, dopo avermi cancellato dagli amici in fb s'è rivolto altrove per trovare un pizzico di onesta considerazione. Sappia subito che "non ce l'ho" con lui e non gli serbo rancore. Tuttavia, chi tradisce è sempre nella parte del torto; soprattutto quando avviene nei confronti di chi l'ha aiutato tangibilmente. Dicono i francesi "c'est la vie" che (noto) è come una strada lastricata di pietre.
Giuseppino non vuole discutere del libro. E' felice (e lo dimostra) per avergli dedicato il titolo. E ringrazia pure il sottoscritto per avere raccolto giudizi e sentenze scaturiti dalla vita di chi, la Bustocchità l'ha attuata e la attua tuttora.
Mi dice subito, Giusepèn che "a egnu non àa Presentazion... men a sto a cà mia e ti te me disaè ma l'e'ndei... te idaè che a genti la t'à oei bèn" e conclude "pagando" la mia insistenza a richiedere la sua presenza con un laconico... "suguta non a menò'l turon". Cioè a dire "detto ho detto... attieniti alla mia volontà".
Intanto però abbiamo scoperto un nuovo modo di dire, non citato nel libro "ul Giusepèn" e il saggio maestro dice subito... "tegnàl bon pa'l libar ca t'è scriàe".
Passiamo a tradurre gli ultimi paragrafi del dialogo: "non presenzio alla Presentazione (del libro, ovviamente). Io resto a casa mia e tu mi dirai come s'è svolta. Vedrai che le persone ti vogliono bene (almeno col rispetto), poi... non continuare a propormi di essere in sala" come a ribadire che Giusepèn, quando dice qualcosa, lo mantiene. E aggiunge "tienilo buono (il detto) lo scriverai nel prossimo libro" ecco come... ipotecare il futuro.
Che c'è di nuovo?... mi viene quasi da ridere nel dirglielo. Anche se, tempo fa, un'attenta nostra Lettrice ha promesso che ci farà avere il Nocino e che, come risposta ho scritto "beata chela man ca la faga insci anca duman"... beata quella mano (generosa); faccia così anche domani.
Tutto il resto del nostro dialogo è "cosa nostra" e Giusepèn sentenzia..."non sem non mafiusi" (non siamo mafiosi) e, dopo il cin-cin e un abbraccio cordiale ci scambiamo l'arrivederci al prossimo incontro.