Abbiamo buttato lì, tre nomi. Non troppo usuali, ma tre nomi in uso, qualche tempo fa. Non da tutti. Ma sono "di spettanza" di autentici Bustocchi, di quelli dai "peli sul cuore", per dire che, costoro, amano e sono orgogliosi di appartenere a Busto Arsizio. Chi poi ha cercato di "tradurre", ha fatto lo gnorri, come "la volpe e l'uva" col mitico "di più nin so" invece del "non so!"..
Il "lurdo", l'avete già letto. E' in inconsolato stupido (cretino, scemo), meglio definito quale allocco. Uno di quelli che si crede intelligente, ma non lo è. Suo malgrado, "si perde"; compie atti ignobili, forse dovuti alle sue "cellule grigie" (Hercule Poirot di Agatha Cristie) fossilizzate, rattrappite, che "non rispondono più ai comandi". Lui, "ul lurdu" compie gesti, fuori dalla sua portata. Come ha scritto mamma-Paola "ul pan dul lurdu l'e'l prim a fini", per il fatto che lui, elargisce, senza capire che ben presto resterà senza "pane" e lo derideranno. La metafora è quasi ignobile. Il lurdu si mette in mente di cogliere dagli altri, per la sua "boutade", accondiscendenza; invece è deriso e trova sulla sua strada, chi se ne approfitta. Poi, di fronte a una triste realtà, "ul lurdu" si accorge che la vita non è quella dei "colpi di testa", ma ha regole precise. Che hanno tutte un nome appropriato. Un conto è essere generosi e caritatevoli; un altro è "disperdere" i buoni intendimenti.
Andiamo ora nella "lurdaìa" e Giusepèn è buon maestro nel descriverla. Oggi la chiamano "companatico" e Giusepèn utilizza una frase della sua generazione: "pan e caicossa d'oltar"- (pane e qualcosa d'altro) - per dire che un tempo, "anca i fregui" (anche le briciole) tenevano pasto. E quando dovevi pranzare, cenare e far colazione, dovevi sempre accompagnare al pane, la "lurdaia", composta da salame-crudo, formaggio, carne, contorno... tutto ciò che la mamma-massaia metteva nel piatto.
Lo "spezzare del pane" non era unicamente un "gesto religioso"; era un rituale di ogni famiglia.
Guai disperdere o avanzare il cibo, ma proprio quel cibo, lo si doveva mangiare in un secondo tempo, quando la fame incombeva col bisogno di crescere. In verità, pochissime volte si avanzava cibo. Le razioni erano quasi "comandate" e la mamma-massaia conosceva le necessità dei familiari. Non è che si misurava la quantità del cibo, ma si lasciava sempre ai commensali, l'opportunità di fare replica oppure di chiedere un "contentino" in aggiunta al necessario. La "lurdaia" aveva sempre un preciso ripostiglio. "Ghea non i frigidaire" (non c'erano i frigoriferi), quindi, salumi, formaggi, burro e …. qualche avanzo, li si poneva nella "muschiroea"... altro non era, se non una gabbietta di legno compensato, ricoperta da una fittissima rete che consentiva il "respiro" delle vivande. Ovvio che si doveva consumare quel cibo in tempi brevi, per ovvi motivi!
E siamo al "lecardu" che ci conduce (quasi) ai "piani nobili" di chi ha l'aria di essere un "esperto" in arte culinaria o che conosce perfettamente i piatti tipici da richiedere al ristorante, ma pure a quelli "fatti in casa". Il "lecardu" è un "ricercato" (non dalla Polizia, mi vien da dire), ma ricercato nel scegliere piatti tipici. Mai, "ul lecardu" si abbasserebbe a mangiare "piatti della gleba" o quelli "da Osteria" - lui gusta soltanto piatti tipici, di composizione "da chef", disposto pure a spendere "una cifra", pur di distinguersi di fronte al volgo.
Si appioppava "lecardu" a chi faceva lo sfizioso, a chi pretendeva un servizio di cibi sofisticati, senza i quali era disposto a digiunare se tali specialità non facevano parte del menù del ristorante.
Ricordo un fatto-antico, alla presenza del Giusepèn - a una manifestazione pubblica, dove era coinvolta l'intera Redazione de l'Informazione, una gentile signora, aveva ordinato al cameriere, tre o quattro ostriche con un contorno (di cui dimentico cosa fosse) - il cameriere aveva fatto notare che il loro ristorante, non possedeva le ostriche e nemmeno quel "contorno" e si era sentito dire "si procuri, quanto ho chiesto" - ovviamente, il cameriere mi riferisce i "desiderata" di madame ed io mi sono fatto premura di annunciare alla signora che il menù proposto dal ristoratore era vario e poteva ben scegliere altre leccornie presenti sulla lista - madame mi rispose un "no-secco" e tutta stizzita s'è rivolta al suo accompagnatore, intimandogli di andarsene.
Finì, proprio così: l'accompagnatore di madame, fu irremovibile, lei è diventata stizzosa e aspettò la fine del pranzo, senza nutrirsi, in attesa del "suo uomo" - so che "parlò male" di noi, ma crebbe nella nostra mente il disprezzo nei confronti dei "lecardi" che in giro vogliono le ostriche e, a casa loro, "i mangiàn a supa, senza cundimentu" (mangiano la zuppa senza condimento) - Giusepèn disse poche parole, ma per decenza, qui non le posso (e nemmeno voglio) renderle pubbliche.