Ieri... oggi, è già domani | 27 settembre 2024, 04:00

" scià balèn"" - vieni bimbetto

C'è quasi da ridere (o almeno da sorridere), quando si sente un antico modo per farsi notare da un bambino o quanto meno da invitarlo ad avvicinarsi

" scià balèn"" - vieni bimbetto

C'è quasi da ridere (o almeno da sorridere), quando si sente un antico modo per farsi notare da un bambino o quanto meno da invitarlo ad avvicinarsi. Lo dico a Giusepèn e lui subito a dire "l'e vèa" (è vero). Si tratta del "scià balèn" che, per dirla tutta intera, si diceva "ven scià balèn". La traduzione completa è "vieni qui bimbetto o ragazzino", per il fatto che a un adulto, al massino si diceva "vegn scià" (vieni qui) e non era un ordine perentorio, ma semplicemente un invito.

Su "scià balèn" si è molto fantasticato e, l'acume del Bustocco che parla concretamente il Dialetto Bustocco da strada, lo porta a storpiare la frase. Quindi, il corretto "scià balèn" diventa pure "schiabalèn". Notare che le due parole, possono diventare una sola e fa cambiare drasticamente, il significato. Mentre il "scià balen" è un cortese invito, il "sciàbalèn" che vuole l'articolo "lo" e non "il" vuole dire "persona che cammina male". Essere "sciabal" ha proprio il significato di scialbo" e di chi ha una cadenza non perfetta nel camminare. "chèl lì l'e sciabàl" vuole proprio mettere in luce le difficoltà nel deambulare e lo stile non perfetto nella camminata.

Giusepèn è categorico: "l'è non ufensivu" (non è offensivo), ma chiarisce per bene, come una persona cammina "spedita" o come (per una causa qualunque) cammina "sciabàl". Poi, la fantasia dei Bustocchi si spinge oltre e si formano altre parole derivate dal "sciabalèn", ad esempio con un accrescitivo "sciabalòn" oppure accostando a un ragionamento "chel lì al ragiona sciabàl" (quello lì, ragiona male) con quel "sciabàl" utilizzato in maniera deteriore.

Anche in altre conversazione, si sentiva "a cuestiòn l'è sciabàl" (la questione è impostata male" o "a spartiziòn l'è sciabàl" per dire che chi ha operato la "spartizione" ha commesso dei favoritismi e ha privilegiato una parte rispetto a un'altra.

Ritorniamo al meno prosaico, ma poetico "scià balèn" che veniva utilizzato dalle nonne, in specie, ma pure dai genitori, quando volevano richiamare l'attenzione dei bambini; quando lo si usava per chiamare un adulto, il "scià balèn" era utilizzato per una carineria e mai per offendere. Dire "balèn" a un adulto, non è fine, ma utilizzare il termine "balèn" per offrire cordialità e apprezzamento, era come fare una lode; ancor più se era accompagnato da un sorriso o da uno sguardo dolce.

Onestamente, pochissime volte mi sono sentito dire "scià balen": in casa si utilizzava il "vegno chi" (vieni qua), più perentorio ed efficace. Forse (lo ammetto per questione di correttezza), essendo vivace a più non posso, mi "meritavo" il "vegno chi", al posto del "scià balèn".

Giusepèn annuisce. Vorrei dirgli (ridendo) "infingardu", traditui", "facia da spendi pocu", ma non è il caso. Giusepèn non si merita affatto cattive parole. Infingardo o traditore, sono fuori luog e quel "facia da spendi pocu" , letteralmente "faccia da spendere poco" racchiude un'illimitata stima che ho nei confronti di Giusepèn. Significa, in base all'espressione "furba", intelligente, adatta alla bisogna, ….. con quell'espressione che mostri col viso, desideri ottenere qualcosa, vuoi rabbonirmi, nascondi bonariamente una sorpresa e …. altre cose di questo genere.

Ne ho sentito una di spiegazione, da Giusepèn: "ul mùusu al vuèa basò a so mùusa e l'à fei a facia da spendi pocu" (il fidanzato voleva baciare la fidanzata e con l'espressione dolce del viso, gliel'ha fatto sapere) e, per amore, la fidanzata ha …. accondisceso. Ecco la grandezza del Dialetto Bustocco da strada; capace di creare "preamboli" fra chi si vuol bene o si ama…."con quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così che abbiamo noi che siamo nati a " Busto Arsizio. e non me ne vogliano i genovesi per avere messo Busto Arsizio al posto di Genova. In fondo, siamo Liguri anche noi, per discendenza.

 

Gianluigi Marcora

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