Ieri... oggi, è già domani | 05 ottobre 2021, 06:00

Tra'n l'aia ul cù - pensiero fuggente

Ho voluto scientemente scrivere nella traduzione, "pensiero fuggente" al titolo espresso alla presente riflessione

Tra'n l'aia ul cù - pensiero fuggente

Ho voluto scientemente scrivere nella traduzione, "pensiero fuggente" al titolo espresso alla presente riflessione. Obiettivamente, è Giusepèn a parlarne. E a chiarire come e quando si usa "tra'n l'aia ul cù" che nella traduzione è semplicemente "tirare per aria il sedere" che ha nulla, ma proprio nulla a che fare col suo significato.

Spieghiamoci meglio. L'espressione -lo catechizza Giusepèn- la si utilizzava, quando ai semplici ragionamenti si faceva seguire un exploit per significare qualcosa di ....non usuale. C'era (esempio) il giovanotto che voleva possedere un motorino ed ecco la risposta del padre "chèl lì l'à tra'n l'aia ul cù" (ha avuto la bella pensata di....), cioè, vuole il motorino ed ecco che fa le bizze, per avvalorare la sua richiesta, per essere accontentato. Oppure, la figlia che vuole maritarsi e "l'à tra'l l'aia ul cù" per manifestare il suo desiderio e ovviamente giungere a dire alla famiglia, quali sono le sue intenzioni.

Si può quindi "tra'n l'aia ul cù" per far conoscere il proprio desiderio che a prima vista potrà essere aleatorio o pur tuttavia, legittimo, ma è sempre rappresentato da un exploit non proprio usuale. Si va dall'acquisto dell'automobile al desiderio di fare la patente, al portare il moroso o la morosa a far conoscere alla famiglia. Certo che morosa e moroso significano fidanzata o fidanzato. E (precisiamo) lo sarà, quando la famiglia ha dato il benestare a ciò che non è una semplice relazione, ma un convincimento di entrambi a formare una famiglia.

Giusepèn tiene a precisare che "in coeu ghe cambià tuscossi" (oggi è tutto cambiato), ma c'era un tempo la serietà di far conoscere un "qualche cosa" di estremamente importante, come la faccenda sentimentale fosse un atto da condividere in famiglia, prima di renderlo ufficiale.

La parola "mùusa" (morosa - fidanzata) costituiva un impegno preciso che grosso modo andava a buon fine. Tutelato (se vogliamo) e abbastanza verificato, sino al punto di avere il massimo rispetto da entrambe le parti.

Giusto o non giusto, la coppia doveva incontrarsi davanti a ....testimoni e mai era consentita una scorribanda fuori le mura, compreso il ballo in casa che veniva organizzato, sempre con la presenza di fratelli e pure da genitori, a tutelare ....l'integrità.

Si diceva allora (lo ricorda Giusepèn) che "i du a sa parlàn" (i due si parlano), per dire che si discute e si spiegano le ragioni del futuro di coppia, fra "lei" e "lui". Quasi sconosciuta, la frase "ti amo" e sempre a dirsi "t'e me piasi" (mi piaci) ....sia per lei sia per lui.

Poi, il giusto epilogo. Non troppo lungo il fidanzamento e limitare al massimo le tentazioni. Si arrivava alla "schirpa" per lei, cioè la dote e al "necessari" (necessario) per lui, con tanto di "giustamentu dàa spusa" (aggiustare la sposa - precisi doveri di entrambe le famiglie che dovevano dotare la nuova famiglia di quanto occorre per ....affrontare la vita.

Di solito, alla casa, provvedeva lui. Tuttavia, c'era la famiglia che eseguiva un sopralzo e c'era chi allungava la casa patriarcale, "par faghi stò" (per farci stare) la nuova casa. Difficilmente si espatriava o si andava a vivere lontani. Giusepèn ha un attimo di riflessione. Poi sbotta "a sa usa anmò, spusassi?" (si usa tuttora sposarsi?) - Giusepèn non approfondisce. Incombe il Nocino. E' quasi un rito e Giusepèn sorride cogli occhi furbi e uno sguardo fiero.

Gianluigi Marcora

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