Quando ti accoglie con gli occhi "furbetti", Giuseppino; lo vedi allegro. Attacca subito con un "te se ragordi?" (ti ricordi?) prima ancora di farti sapere, cosa dovresti ricordare. Ed eccolo, il "ricordo".
"Te sei un sghia pan mistu ....a to mama la t'a preparèa du sanguis.... vogn l'ea se non" (eri uno straccia pane misto....... tua mamma ti preparava due panini....uno non era abbastanza). Vediamo allora questi due vocaboli (sghia-sanguis), prettamente Bustocchi, tipicamente dialettali.
Cominciamo dall'ultimo vocabolo: "sanguis",.derivato dall'inglese (portato da noi pure dagli americani) sandwich e che i Bustocchi, traducevano in "sanguis" e analizziamo pure un altro vocabolo (sghiare) che non ha traduzione in italiano, ma "rende bene" col Bustocco.
"Sghiare" ....ribadiamolo, non cercatelo sul Vocabolario. Non c'è. A Busto Arsizio, "sghiare" vuol dire stracciare. E lo si fa con un foglio di giornale, con la carta in genere, con una stoffa qualsiasi e con tutto quanto si può ....stracciare.
Poi ci sono le allusioni dedicate al verbo sghiare e, una allusione tipica è quella utilizzata da Giusepèn per dire ....."la tua fame era così tanta, da sghiare (stracciare) anche il pane misto". Avvalorato dal fatto che la mamma preparava due panini imbottiti ....uno non era sufficiente.
Sinonimo dello "sghiare" è "strascià" (stracciare) da cui è derivato "strascè" che indica il mestiere del cenciaiolo; colui che ritira i "cenci" le cose stracciate, le inutilità ....roba che non serve più. Del resto, il cenciaiolo (anche i Bustocchi, come Manzoni ...hanno lavato i proprio panni in Arno) passava col suo furgoncino a pedale, girava per i cortili e mamme (magari accompagnate dai figli) portavano allo "strascè" le cose inservibili da portare via.
Era una specie di anticipazione della "raccolta differenziata" ed aveva un senso logico. Quale?
Lo "strascè" era attento a quanto ritirava. Per il "ferro" (ogni tipo di ferro; dalle ruote delle biciclette smontate dal copertone (pneumatico), a tutto ciò che conteneva il ferro ed era inservibile. E pagava (riconosceva) 5 lire al chilo. Per l'alluminio, lo "strascè" riconosceva 25 lire al chilo, mentre per le bottiglie del vino (vetro spesso) dava 3 lire a bottiglia, purchè ben lavate e in buono stato; vale a dire a etichetta tolta. C'erano poi vestiti dismessi e stoffe utilizzate, purchè "non scampoli" e anche qui, c'era una tariffa di comodo che era a discrezione di "trattativa".
Il ricavato "al fèa ciau" (faceva chiaro) ed era un introito supplementare alla scarse entrate della famiglia sia per chi lavorava in autonomia (contadini) sia per gli operai che percepivano la paga ogni 15 giorni e che "arrotondavano" con lavori in casa (magari ospitando un tornio o un telaio o lavori da eseguire con una cucitrice).
Giuseppino snocciola alcuni lavori in uso "ai me tempi" (all'epoca sua)....ul bagattu (calzolaio), ul sbianchèn (imbianchino), ul stagnèn (stagnaio), ul mulitta (arrotino), per non parlare di artigiani come "ul legnamè" (falegname) o ul turnidui (chi aveva un tornio in casa) o ul tesitui cunt'ul tiè (tessitore che aveva il telaio in casa). Gran parte di questi Artisti giravano per casa e chiamavo a sè le mamme ma pure i padri, con urla festose .....chi aveva bisogno, in pochi minuti accorreva all'appello e, tra una battuta e un'altra si arrivava al ....soddisfacimento delle incombenze.
Ho tralasciato altri mestieri "di cortile", per parlarne un'altra volta...come ad esempio "ul ruèl" che è il fruttivendolo o "ul prestinè" che non è il panettiere, ma era colui che aveva il "prestino" e che produceva il pane ....che il panettiere vendeva. Che facciamo ora, Giuseppino? "Dil non in curti; tantu lu san giò" (non dirlo in giro, tanto, tutti sanno già quel che facciamo). -Nocino-