Busto Arsizio - 12 novembre 2025, 08:37

L’Iran di Michael Bolognini: la bellezza furiosa della natura e la delicatezza sconvolgente delle persone

L’esploratore ha attraversato ambienti estremi e opposti, dai 30 sotto zero del Monte Damavand al caldo asfissiante del deserto di Lut, collezionando diverse “prime volte”, per un italiano e assolute: «Ho attraversato una natura che ti fa sentire piccolo. E incontrato una popolazione che mi ha sempre chiamato “fratello”»

Bolognini - Iran 2025

Bolognini - Iran 2025

Avventuriero, esploratore, atleta, guida: Michael Bolognini (foto anche in fondo) da Busto, è tante cose e ha tante esperienze alle spalle. Ma non smette di stupirsi, specie di fronte agli spettacoli potenzialmente più belli e travolgenti, la natura e l’uomo. È successo in Iran, terza tappa del suo 7 Days Extreme Essential, nuovo capitolo di un percorso iniziato nell’inverno del Circolo Polare Artico e proseguito in Islanda, in entrambi i casi in completa autonomia, senza tenda e solo con l’attrezzatura essenziale. Nel Paese che i libri di storia occidentali chiamano “Persia” non sono mancate le novità, per esempio la condivisione con alcuni compagni di viaggio. Necessari, fra l’altro, a ottenere i permessi: in solitaria (questa la formula preferita) le autorità avrebbero giudicato eccessivi i rischi di un itinerario pressoché inedito, fra l'altro caratterizzato da alcuni primati.

«Ho portato a termine questa avventura con persone eccezionali – tira le somme Michael -  il cui valore è pari a quello della popolazione, della gente comune in cui mi sono imbattuto. Tutti mi hanno chiamato “fratello”, mi hanno offerto il meglio di ciò che avevano a disposizione. Anche adesso che sono rientrato ricevo messaggi in cui mi si chiede se mi sia trovato bene, in Iran, se abbia portato a casa qualcosa di buono, un bel ricordo. Un’umanità accogliente e generosa in una natura che davvero ti fa sentire un granello. Magari un po’ precario ma circondato dalla bellezza».

Una bellezza difficile da conquistare, per questo ancora più sfidante e ambita. «La prima settimana è stata dedicata alla fase cardine del progetto: sette giorni in completa autonomia tra giungle montane, zone rocciose oltre i 3.000 metri e canyon aridi. Con me c’erano Matin Tootazehi, conosciuto come Matin Bushcraft, e da Hassan, Lion Killer. Abbiamo ricavato rifugi a terra, su pendii, dentro una grotta e in un tronco. L’ambiente era popolato da fauna selvaggia: orso del Belucistan, leopardo persiano, abbiamo avvistato un lupo nero, oltre a sciacalli e aquile».

Seconda tappa, la conquista del Monte Damavand (5.670 m), il vulcano, attivo, più alto dell’Asia e vetta più alta del Medio Oriente. «In sé e per sé l’ascesa non viene considerata particolarmente difficile. Altra cosa sono le condizioni climatiche: possono cambiare in pochissimo tempo e diventare proibitive. Con me c’erano ancora Matin Tootazehi e Beiti, una delle figure più esperte dell’alpinismo iraniano, guide obbligatorie per una spedizione che, nella sua forma, è stata una prima assoluta nella storia dell’Iran. Sono stato il primo italiano ad aver raggiunto la vetta del Damavand in una stagione ad alto rischio, in completa autonomia e senza alcun tipo di tenda o rifugio. Una prima mondiale per modalità estreme di scalata, un’impresa mai tentata prima. È curioso ricordare che Reinhold Messner tentò un’ascesa in condizioni simili ma fu costretto a ritirarsi a causa di una bufera analoga. Non mi stupisce, anche noi ci siamo confrontati con temperature impossibili, abbiamo dormito a 14 sotto zero, si sono toccati i -30, il ghiaccio si formava anche sulla torcia».

Da un estremo all’altro, l’ultima impresa è stata nel deserto del Lut (ogni singola impresa è stata inframmezzata da un paio di giorni di riposo): «È riconosciuto come il luogo più caldo del pianeta, patrimonio mondiale Unesco. Le temperature possono superare i 70 gradi al suolo, con dune che raggiungono i 300 metri di altezza e distese di kalut, formazioni rocciose scolpite dal vento, che creano un paesaggio quasi extraterrestre. Il team era composto da sei persone: oltre a me, Matin, Mohammad, due autisti e due videomaker. Con Matin ho percorso a piedi alcune delle aree più remote, decine di chilometri dormendo senza tenda, solo con sacco a pelo e scorte necessarie d’acqua e cibo. Dal Damavand al Lut, mai nessuno aveva affrontato consecutivamente questi due ambienti, in condizioni tanto estreme».

Alla soddisfazione si aggiungono i grazie: «Ai ministeri degli Affari Esteri Iraniano, del Patrimonio Culturale, del Turismo e dell’Artigianato, ad Aram Saheb Fosoul e Matin Tootazehi, alle persone incontrate, portatrici di una delicatezza alla quale non siamo abituati, per certi aspetti sconvolgente».

Prossima tappa in Patagonia, per un’avventura fluviale in canoa.

S.T.

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