Sport - 10 maggio 2025, 11:04

«Avanti Pro Patria, devi essere consapevole delle tue forze»

Marco Rossi, attuale commissario tecnico dell'Ungheria ed ex allenatore tigrotto, ricorda gli sfortunati playout da lui vissuti e sa cosa serve per non cadere in quella trappola

Marco Rossi, foto dalla sua pagina Facebook

Marco Rossi, foto dalla sua pagina Facebook

Bisogna essere consapevoli delle proprie forze. Appena accenni la parola “playout” a Marco Rossi, attuale Commissario Tecnico dell'Ungheria ed ex allenatore tigrotto, si accende fulmineo un lampeggiante e risente i tre fischi finali di Gallione di Alessandria come sinistri. Va a quel maggio 2008, a quelle due partite col Verona, in particolare a quella di ritorno allo Speroni «una delle più sfortunate, direi addirittura la più sfortunata della mia carriea di allenatore».

Ma oggi sa cosa serve, oggi che la Pro Patria deve affrontare una nuova sfida per non retrocedere, contro la Pro Vercelli.

Non l'hai ancora digerita?

È impossibile da dimenticare, Se rivado con la mente vedo il fallo laterale di Imburgia che dà la palla ad Ardemagni che non trattiene, sbatte sulla testa di Citterio e finisce a Zeytulaev che, da una posizione impossibile sulla linea di fondo trova un pertugio fra Anania ed il palo e mette dentro il pallone del pareggio che salva il Verona.

Tra l'incredulità dei suoi tifosi che si stavano preparando alla contestazione.

Avevano già ritirato le bandiere. Erano in tanti, ma anche quelli tigrotti.

La beffa c'era già stata al Bentegodi all'andata.

Con il gol di Morante nei minuti di recupero al cui ingresso venne fischiato dai tifosi veronesi. Non aveva mai fatto gol in campionato.

La Pro si appresta a giocarsi gli spareggio salvezza con la Pro Vercelli: quanto incide l'aspetto mentale?

Tantissimo. Noi eravamo al quintultimo posto, in una posizione di favore, ma venivamo da un momento non buono in campionato.

Davvero conta più la testa che la cifra tecnica?

Vale tutto. Ma prima occorre essere forti mentalmente, consapevoli delle proprie forze. Essere convinti delle proprie capacità. Questo fa la differenza in queste partite, ma direi in tutte le gare, ed ovviamente in quelle più cariche di tensione. Si dovrebbe lavorare di più sotto questo aspetto.

Non si fa abbastanza?

Secondo me c'è molto da lavorare in quella direzione. Le società si dovrebbero adottare di psicologi o di mental coach, come vogliamo chiamarli, perché lavorando sulla testa dei giocatori si possono ottenere risultati sul campo. Alcuni si perdono alla prime difficoltà mentre, se fossero assistiti, si potrebbero recuperare ed altri migliorare.

Il calcio è dunque cambiato come si dice?

Segue l'andamento dei tempi. Quando ero giocatore facevo allenamenti da corsa campestre, oggi gli allenamenti si sono molto affinati e gli staff delle squadre hanno diversi specialisti. A questi andrebbero aggiunti anche quelli della mente.

Come sei stato accolto in Ungheria nel 2012?

Con curiosità e grande rispetto.

I risultati dalla tua Honved di hanno aiutato?

Tantissimo. Nel campionato 2012/13 pronti via abbiamo fatto tredici punti in cinque partite battendo il Ferencvaros che è la Juventus d'Ungheria, finendo in classifica con il miglior risultato degli ultimi trent'anni.

Fino allo scudetto qualche anno dopo...

Nel 2017. Un campionato con la nuova formula a dodici squadre e con il budget più basso di tutti e con due under 20 in campo sempre per novanta minuti.

Da quando la mitica Honved non vinceva un campionato?

Dal 1993.

La guida della Nazionale come premio?

Un fulmine a ciel sereno.

Anche perché non stavi allenando in Ungheria.

Ero in Slovacchia ed allenavo Dac Dunajsdà Streda, la squadra di una sorta di enclave ungherese. Lì si parla ungherese e quando giocavamo in casa i tifosi cantavano una canzone della tradizione ungherese tanto che intervenne la federazione slovacca e la proibì.

Come andò quel campionato?

Molto bene. Portammo la squadra a fare i preliminari di Europa League, un risultato storico e, tornando da una trasferta, ricevetti la telefonata del presidente della federazione calcio ungherese. Chiesi di giocare il primo turno, battemmo la Dinamo Tbilisi e poi lasciai la squadra al mio successore.

Un'esperienza che ti ha fatto conoscere all'Europa, ma direi, con sorpresa, all'Italia.

A prescindere dalla Nazionale, se non avessi avuto il coraggio di venire in Ungheria avrei fatto un altro mestiere.

Hai riportato in prima pagina l'Ungheria dopo decenni. Gli amanti del calcio conoscevano quella dei Puskas, Kubala e compagnia.

Abbiamo conquistato l'accesso ai campionati Europei per due edizioni di fila, mai successo. Battuto Inghilterra, Germania, sovvertendo in pronostici. Mi spiace aver perso ultimamente gli spareggi con la Turchia in Europa League, ma i turchi sono una squadra con dentro tanti talenti.

Con l'Italia hai trovato semaforo rosso.

Vero.

Quanto ti ha preso l'emozione?

Giochi contro la tua Nazione...

All'Inno di Mameli?

L'ho cantato a Cesena alla partita di andata e l'avevo dichiarato alla vigilia che l'avrei cantato così come ho fatto con quello ungherese. Sono anche cittadino d'Ungheria. E l'ho cantato anche al ritorno alla Puskas Arena e lì i tifosi ungheresi lo hanno cantato con me l' Inno di Mameli.

Ti sei fatto affermato, quante chiamate hai ricevuto per allenare club?

Tre dalla Premier League  e qualcuna dalla Germania per dei colloqui ai quali non sono andato perché avevo ed ho un contratto con la federazione.

Nomi?

Crystal Palace, Nottingham Forest e Fulham. Sarei potuto andare a sentire, ma mi sembrava corretto rispettare il contratto che avevo. Sta di fatto che, dopo quindici giorni, hanno preso l'allenatore.

Italia?

Nessuna chiamata. Solo un colloquio con Mancini e Vialli durante l'Europeo, se fossi stato disposto ad allenare la Sampdoria. Ma era una loro iniziativa personale.

Vedere la Samp avviata verso la serie C?

Fa male. E spero che non succeda altro se dovesse retrocedere.

Un ultimo pensiero lo facciamo alla Pro Patria.

La fortuna di aver conosciuto grandi persone come i Vender e con Roberto ci sentiamo ancora.

Ma un'amichevole fra la Pro e la tua Ungheria allo Speroni nel nome di Kubala che ne pensi?

Mai dire mai.

Giovanni Toia


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