Dopo l’ultimo saluto, il brusio della folla che ha riempito la chiesa di San Michele si è spento, lasciando spazio al silenzio, ai ricordi e a una nuova, potente consapevolezza. Per Andrea Scaramuzza, il figlio di Patrizia Crosta, il funerale della madre non è stato solo un addio, ma un punto di partenza per comprendere ancora di più la donna che l'ha messo al mondo. Una figura pubblica per tanti, una “guerriera col sorriso”, ma per lui una madre la cui vera grandezza si è rivelata con forza proprio nel momento più doloroso.
«Tutta questa risonanza, non me l'aspettavo – confida Andrea, la voce ancora segnata dall’emozione – Non pensavo che mamma avesse toccato tutte queste persone. Vedere il sindaco, la gente comune, gli amici di una vita… mi ha fatto capire quanto fosse amata e, forse, quanto io stesso mi sia perso».
Un velo di rammarico attraversa le sue parole, quello di un figlio che da vent’anni vive lontano, prima in Spagna e ora spola con l'Africa per lavoro. «Vivendo fuori, ho dato per scontato tante cose. Mi sono perso una grande parte della sua vita e solo ora, purtroppo, ho compreso davvero la sua portata. È una delle cose di cui mi lamento in questi giorni». Il rammarico fa sicuramente dei sentimenti che emergono in questi giorni e che, con il passare dei giorni, pur nel dolore, farà spazio a quanto di bello Patrizia ha fatto per gli altri e, soprattutto, per l'attaccamento al figlio.
Una vita per gli altri, dal lavoro alla famiglia
Dietro la Patrizia dei social e dell’impegno civico, c’era una donna la cui esistenza è stata un atto di dedizione. «Prima che nascessi, aveva lavorato per dieci anni alla Pepsi Cola, qui a Busto», ricorda Andrea. Poi la sua scelta divenne la famiglia. «Quando è rimasta incinta di me, papà le disse che, per gestire tutti i diversi problemi, preferiva che restasse a casa. E lei lo fece. Ha fatto la mamma, si è dedicata sempre alla famiglia».
Una dedizione che non si è mai fermata. Andrea la descrive come una donna «che ha sempre dato agli altri». Un dare incondizionato che l'ha portata a prendersi cura di tutti: prima del suocero malato, poi di se stessa, quando la malattia la colpì la prima volta, poi del marito, anche lui scomparso per un brutto male, e infine della suocera. «Una cosa che mi ha detto e che mi gira in testa da tanto – racconta Andrea – è stata: “Io non sono stata capita”. Forse perché chi dà così tanto, senza condizioni, a volte crea paura o invidia».
La guerriera che sconfisse il tempo
La forza di Patrizia, quella che tutti hanno ammirato, Andrea l’ha vissuta sulla sua pelle fin da ragazzo. «Quando avevo 15 anni, le diagnosticarono un tumore e le diedero tre mesi di vita. Invece ha continuato a lottare ed è rimasta con noi per altri trent’anni, lottando per sé e per gli altri». Eppure, in quella donna temprata dal dolore, ardeva una fiamma inaspettata di avventura, un seme che forse non ha mai potuto coltivare del tutto, ma che ha trasmesso a suo figlio. «Non ho mai capito da dove avessi preso il mio spirito avventuroso, i lanci, l’alpinismo, l’Africa… – sorride Andrea – Poi ho capito che era un seme che veniva da lei. Si è buttata tre volte dall’aereo con me, in tandem. Una volta me la sono trovata a bordo e non me l’aspettavo».
L'eredità più grande: i valori
Oggi, mentre riordina i pezzi di una vita intera, Andrea Scaramuzza sa esattamente cosa gli ha lasciato sua madre, un tesoro che va oltre i ricordi. È un’eredità incisa nel suo modo di essere, la stessa che ha cercato di trasfondere nel libro che ha da poco pubblicato e che Patrizia aveva condiviso con orgoglio.
«Il rispetto, la lealtà, l’onestà e l’abnegazione sono cose radicate nel mio profondo grazie a lei e a mio padre. Mi ha sempre insegnato a dire quello che penso, a essere onesto e ad andare avanti a testa alta, senza compromessi. Questa è la più grande eredità che porto avanti». Un’eredità che continuerà a vivere, anche lontano da quella Busto che, ammette, «mi è sempre stata un po’ stretta». Ma il legame resta, forte come l’abbraccio di una madre. E il suo libro, forse, lo presenterà proprio qui, nella biblioteca della città che Patrizia amava e “controllava” con affetto. Per chiudere un cerchio e continuare, in un altro modo, a raccontare la sua storia.















