Nel suo nuovo romanzo Rose nere per Katia, lo scrittore ed ex docente bustocco Alberto Brambilla mette a nudo il mondo della scuola con uno sguardo insieme ironico, disincantato e profondamente inquieto. Il titolo nasce da un episodio realmente accaduto: un San Valentino in cui una bidella consegna a una studentessa un fascio di rose rosse, scatenando un’emozione travolgente in una classe solitamente apatica. Un gesto semplice, quasi banale, che riesce dove gli sforzi dell’insegnante falliscono, rivelando un cortocircuito tra vita reale e vita scolastica. Le rose, nel libro, diventano nere perché il racconto affonda le radici in un contesto ombroso e problematico, dove il malessere di uno dei protagonisti esplode sin dalle prime pagine, con la descrizione di un suo “gesto forte” e si distende poi nella storia di Giacomo, insegnante stimato, ma sopraffatto da un disagio crescente.
Brambilla spiega che mentre scriveva aveva in mente la forma diaristica della La coscienza di Zeno: un modello alto per raccontare l’ansia e l’inadeguatezza di un docente che, pur dopo trent’anni di esperienza, si ritrova davanti a classi che non riesce più a comprendere. Gli studenti gli appaiono impermeabili agli stimoli culturali, come se tra lui e loro ci fosse un muro di gomma. Da questa distanza nasce un sentimento di frustrazione che si trasforma in un vero e proprio odio verso la scuola in tutte le sue componenti: alunni, colleghi, dirigente. Accanto al modello sveviano, affiora però anche un registro più popolare, quello per intenderci di Bar Sport di Stefano Benni, con un linguaggio gergale e toni comici e surreali che, nel contesto del romanzo, assumono una dimensione tragica. Lo conferma anche la copertina, dove le rose sono in realtà compiti in classe che la burocrazia obbliga a conservare; piegati a forma di fiore divengono un simbolo di come la materia scolastica venga trasformata e distorta dalle tensioni interne.
L’idea del libro risale a vent’anni fa e la stesura a quindici, quando Brambilla insegnava in un istituto professionale e iniziava ad avvertire una trasformazione profonda nella scuola. Racconta che già allora percepiva una distanza linguistica e culturale tra insegnanti e studenti, due mondi che faticavano sempre più a incontrarsi. Per anni il manoscritto è rimasto nel cassetto, fino a quando un amico, Luciano Curreri, direttore della collana editoriale “Le golette” dell’editrice Nerosubianco, lo ha invitato a pubblicarlo in un momento in cui la scuola è tornata, almeno a parole, al centro del dibattito pubblico.
Il romanzo è strutturato come un diario, un flusso di pensieri che restituisce le angosce del protagonista, un docente di lettere un tempo ambizioso ed orgoglioso della sua vocazione. Ne risulta un quadro impietoso, ma non per cattiveria: Brambilla racconta di aver vissuto la scuola come una missione, soprattutto negli anni in cui gli studenti più fragili percepivano l’istruzione come un mezzo di riscatto umano e professionale. All’inizio degli anni Duemila, però, osserva un cambiamento epocale: l’idea della scuola come ascensore sociale declina, mentre si affermano modelli alternativi legati al consumismo e a un’estetica superficiale, in particolare tra alcune ragazze, spesso più attente a imitare standard di bellezza irraggiungibili che a investire sulla propria formazione. Insomma, la bellezza provocante conta più dell’istruzione e la ricchezza è l’unico metro di giudizio. Il contrasto fra aspirazioni e possibilità economiche crea situazioni che sfiorano il grottesco, mentre la burocrazia scolastica si espande senza offrire strumenti reali per affrontare i problemi. In questo quadro desolante l’insegnante è solo uno "sfigato" che ha creduto, a torto, che i sogni contino più del denaro; è una specie di accattone che crede di riscuotere l’attenzione altrui recitando versi incomprensibili a un pubblico che ha rivolto da tempo lo sguardo altrove, su uno schermo in grado di visualizzare qualsiasi desiderio.
Brambilla riflette anche sul ruolo dell’intelligenza artificiale nella scuola. Ricorda di aver già vissuto, insegnando in Francia, lo scontro con la diffusione di Wikipedia, percepita dagli studenti come fonte incontestabile, più autorevole degli insegnanti. Con l’AI, secondo lui, il quadro si complica ulteriormente, perché rischia di indebolire la creatività, impedire la formazione di competenze autentiche e marginalizzare ancora di più il ruolo del docente. Ritiene però che forse una via d’uscita sia possibile: introdurre tecnici della mediazione capaci di offrire agli insegnanti strumenti adeguati e, allo stesso tempo, educare gli studenti a sviluppare una coscienza critica nei confronti delle nuove tecnologie. Purtroppo queste figure professionali ancora non esistono.
Con Rose nere per Katia (Nerosubianco, 2025), Brambilla firma un racconto che non vuole essere un atto d’accusa, ma uno specchio deformante e sincero della scuola contemporanea. Un romanzo che, attraverso tinte comiche e tragiche, invita a interrogarsi su che cosa significhi davvero insegnare oggi.
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