Un pizzico di nostalgia avvolge i pensieri, come un mantello che scalda, ma non ce la fa a tenere il passo con la moda. Tempi andati che evocano il passaggio tra passato e futuro, collocandosi nella realtà del presente. Allora, c'era effervescenza per il Natale che viene. Aspettative spicciole, sguardi che adocchiavano le vetrine. Sogni, oltre le luci delle lusinghe, con la speranza di toccare con mano, un cavallo a dondolo agognato, un maglione nuovo, forse un altro gioco che potesse attutire l'alea di mistero che contornava le aspettative. Poi (che strano) ci saranno sulla tavola, leccornie inusitate. Il prosciutto, ad esempio, al posto della mortadella quasi quotidiana. E la frutta candida, vicino alla fetta di panettone, mostrata orgogliosamente da mamma che aveva nascosto l'intero dolce come se lo stesso, lo dovesse portare Gesù Bambino - ah, ecco, nessuno mai apostrofava la Festa, il Natale, ma per tutti c'era Gesù Bambino, così gracile e piccino che incuteva curiosità: come fa ad andare da tutti i bimb?. Guai a dubitare.
Papà era affaccendato ad andare per boschi, dove cercava e trovava la "tepa" (il muschio) che serviva per la sua "opera artistica" di primo piano: il Presepe, da preparare in cucina, sopra il buffet (mobile) che conteneva le chincaglierie e le "cose di casa" (piatti, posate, pentole di varia misura) e c'era sempre il posto per un regalo di sorpresa o di un ninnolo, trovato per caso, all'ultimo momento. E lo zio Giannino, già pronto a "immolare" l'oca, per il pranzo, a trovare un coniglio e un pollo, per fare da contorno, con la mostarda che sbucava da chissà dove e gli occhi che si sgranavano a trovare, tutto d'un botto, tanta magnificenza. Giusepèn era lì per visita. A guardare lesto, la mia curiosità, a dirmi con poche parole che "i bimbi buoni, non devono temere" .- io, qualche perplessità, l'avevo. E' per qualche riflessione (mia) che mi giocava a sfavore, per le bricconate compiute, i ragguagli ricevuti, qualche tiratina di riccioli che il tutto, non deponeva a mio favore, per quel "buoni" di creanza. Eppure, al risveglio, mi trovavo in camera il cinturone dello sceriffo, con stella accanto e le pistole (a petardo) a farmi sembrare un tutore della Legge, contro ogni prevaricazione. Il cavallo a dondolo, quasi nitriva e c'era pure il "meccano" e il Lego.
Babbo e zio, all'unisono, ciascuno per i propri mestieri, brulicavano come formiche. Ricordo quel pomeriggio che mi fece angosciare ad assistere a un misfatto. Senza darlo troppo a vedere, lo zio aveva preparato in cortile "ul sciuchettu" (il ceppo rotondo del ciliegio) e subito dopo, andare nel portico a prendere una falce, acuminata e tirata a lucido con "cudiga" che non è la "cotenna" del maiale, finita nella "casoela", ma era d'un materiale che affilava la falce, come la si usava per la "missuia" (falce grande), "ul missuièn" (il falcetto) e la "ranza" (falce con tanto di manico, attaccato al bastone "drizzu mèn fusu" (dritto come un arcolaio) che tagliava l'erba con uno spaventoso colpo, inferto nella maniera giusta. Lo stupore, il mio, era tanto. Lo zio andava nel pollaio a recepire qual è il "corpo del reato"; appunto, l'oca che dopo andava "corredata" e cucinata. Lo strazio dell'animale che starnazza a gran voce, faceva "risciò i busechi" (attorciliare le budella) e faceva sentire il profumo acre della colpa …. perché, uccidere un animale?
Fatto è che lo zio Giannino, accarezza le piume bianche dell'oca, la cheta, le parla sommessamente e le pigia (un po') sul "sciuchetu" il collo. Con l'altra mano, afferra la falce e nel giro di un secondo e mezzo, cala la "mannaia" sul collo dell'oca. Sono sbalordito e terrorizzato per quel che vedo. Lo zio lascia libero il corpo dell'oca e il becco, con attaccato il collo che pende nel "cavagneu" (cestino). E che succede? che il corpo dell'oca, senza testa, prende a zampettare e mi vedo venire addosso quello strazio di oca, impunemente. Ho urlato, ma mi son messo a correre, per cercare riparo. E l'ho trovato nell'abbraccio di mamma che ha redarguito lo zio con un "s'à fa non inscì, cunt'ul fioeu a idè" (non ci si comporta così, con un bambino che guarda)
Fatto è che al pranzo di Natale, non me la sentivo di nutrirmi di oca. Vane le spiegazioni di mamma, papà, zio Giannino che mi illustravano il ripieno dell'oca, lo zampone, inseritole nel sedere, il condimento (non so cosa) per cuocerla. Mi sentivo "colpevole" per non avere protestato, all'eccidio. Papà, mi aveva consolato. Il Presepe che aveva preparato la notte stessa che si approssimava al Natale, offriva tante spiegazioni alla mia curiosità. E Giusepèn a dirmi "sal'tò purtò'l Bamben?" (cosa ti ha portato, Gesù Bambino?) ed io, pavido e coraggioso, allo stesso tempo, a raccontargli l'accaduto, ma pure a mostrargli i quattro o tre doni ricevuti. "T'è ustu? s'è brau anca ti" (hai visto? sei buono anche te) - so che Giusepèn appena leggerà il pezzo, sii ricorderà di quei tempi.




