Nelle case di una volta, specie quelle di campagna o di periferia, a Busto Arsizio, ma pure nei Comuni circostanti, proprio sotto l'impalcatura che divideva il piano-terra con quello rialzato, si predisponeva un pertugio, un buco, un accesso al piano superiore che chiamavano "rabusèl" - serviva ad evitare, prima di coricarsi, di uscire in strada, per magari poi imboccare l'atrio-scala comune che, appunto conduceva alle camere.
Diciamolo subito, oltre alla cucina con annessa sala, magari nello stesso locale, a terra c'era la parte della casa, dove si consumavano i pasti, dove operava la "masèa" (massaia) in cucina; dove si predisponeva la parte riservata agli ospiti (o al relax), c'era pure la cosiddetta sala, con tanto di divano, tavolo laccato, tirato a lucido, fino a quattro sedie che dimostravano l'ordine, l'agiatezza, perfino il lusso che la Famiglia, mostrava con orgoglio - ecco, bastava alzare lo sguardo e scorgere in un "quadrato" di cemento, collegato a una scala a pioli, il "rabusèl" - lo si mostrava con orgoglio e, Giusepèn mostra il suo assenso, ciondolando quel capo ben pettinato, quel viso pulito, con tanto di dopobarba, quei baffetti "arzilli" che facevano eleganza e, a sera, all'ora di coricarsi, mamma con figli, poi il "regiù" (il capo Famiglia) si raggiungeva il locale-camera, dove ovviamente c'era il talamo nuziale, uno o due lettini per i pargoli, "ul scifòn" (il mobile che conteneva gli abiti della festa, magari la "sci-sci" con la "petenoesa" dedicata a madame che aveva a disposizione pure uno sgabello mentre si poteva sedere a pettinarsi i capelli lunghi che avvolgeva in "cignon" prima di mostrarsi al pubblico. Era l'intimità. Nessuno aveva credito per salirci sopra e, attraverso quel buco che divideva cucina-sala, con la camera, si onorava il "rabusèl" (confesso, c'era pure in casa mia). Di solito, in camera, c'era il silenzio e regnava la "corte" che papà faceva a mamma, senza mai destare il sospetto di cosa avveniva, sotto le coperte.
E lo zio Giannino? - lui era fratello di mio padre e mio "confidente" (fatemelo dire) che, specie a scuola, quando mi dicevano (alle Elementari) chi fosse, dicevo innocentemente "mio secondo padre". Ecco, per lo zio Giannino c'era "ul mezanèn" (una cameretta, adiacente la scala comune, dove ci stava un letto e un "cumò" (mobile), senza potervi metterci altro, al di fuori della biancheria intima e c'era pure una stampa gigante, con cornice, dove era raffigurata Sant'Anna(Madre della Madonna), quando s'era sposata.
La fantasia dei Bustocchi, non si ferma qui, nel rappresentare "ul rabusèl" - lo si nominava, quando la mamma cucinava il pollo intero, magari a lesso o arrosto - sentivo papà e zio Giannino, magari a dire "damal a mèn un rabusèl" (servilo a me il "rabusèl") che sostanzialmente era il portacoda che rappresentava il sedere della bestiola, ma era ingentilito con un termine rubato alla Lingua Italiana.
C'è dell'altro, sempre chiamato "rabusèl" - lo si usava per predisporre su un letto di cemento, un buco, nella latrina, per farla somigliare a una "turca" cioè cemento, con al centro un buco (capiente) dove la gente ci andava per i bisogni igienici. La nostra latrina serviva tre famiglie, con cinque, quattro, più quattro persone per un totale di 13 persone.
Ecco, anche qui, si usava parlare di "rabusèl", specialmente quando c'era la fila (ogni mattina). dove, al "servizio comune" si aggiungeva il versamento del pitale (vaso da notte). Ebbene, a chi sostava oltre il "tempo libero" di occupazione della latrina, si sentiva dire "o cagò, o dislibeò'l bogiu" a cui si aggiungeva "ul rabusèl l'e da tuci e tuci gan ul rabusèl" - serve la traduzione? …. suvvia, noh!
Per colmo di chiarezza, rabusèl lo si appioppava pure al sedere umano. Quando poi, il neonato, si scaricava tra le fasce, si diceva "chèl balèn lì al gò,n rabusèl cal canta" (quel piccolino ha un sedere che canta) e lo si poteva interpretare in vari modi. Mamma soleva dire "tempu e cu, al fò mal voi lu" (tempo e sedere, fanno come loro comandano) e si accettava l'errore lessicale: in Dialetto Bustocco da strada, andava bene il "lu" invece di "loro", ma ovviamente è per la …rima.
Eccolo qui, "ul rabusèl" che è il pertugio, il buco, lo sfintere, ciò che poi s'è detto per il buco di scarico delle vasche da bagno. Il termine "rabusèl" è rimasto tale, sino a quando la Società si è evoluta e non ha più avuto bisogno di …. buchi nel soffitto-muro. Giusepèn, annuisce ancora!




