Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana nasceva un'associazione per volontà di alcuni ragazzi disabili che desideravano fare sport come tutti i loro coetanei.
Li chiama «i piccoli grandi miracoli che quotidianamente vedo» e sono quelli che la fanno andare avanti. Il primo "miracolo" è avvenuto 43 anni fa, quando in una galassia lontana lontana nasceva una stella chiamata Polha, quella che è l'insieme di Milan, Inter e Juventus delle associazioni dilettantistiche per disabili, senza avere i soldi di nessuno di loro, l'ultimo accadrà quando Daniela Colonna Preti, presidentessa da trent'anni, metterà davanti a 360 gradi la sua famiglia, i suoi tre figli e suo marito, a «questo fuoco» e a questa famiglia chiamato Polha composta dai «miei ragazzi, dalle loro storie, dalla loro vita in cui caccio il naso per chiedere anche soltanto "come stai" e sapere se ci sono dei problemi». A noi che la ascolteremmo per ore, giorni e settimane perché - come i lapilli di un vulcano - veniamo colpiti da quel fuoco fatto d'anima e capacità di trascinamento, se le dovessimo augurare un giorno di mettere la "sua" vita e la "sua" famiglia davanti all'"altra" famiglia, risponderebbe con altrettanta certezza e con quel suo imperturbabile sorriso «ma io la mia famiglia me la sono trascinata dietro, mi sono venuti dietro tutti».
Daniela è la nostra specialista in miracoli, la donna dell'impossibile che diventa possibile, la chiave per sapere che davanti ai nostri problemi, alle nostre gioie e a volte alle nostre lacrime, ci sono problemi, gioie e lacrime che lei definisce, semplicemente, "normali": il suo miracolo è quel "tocco" con cui trasforma salite insormontabili in opportunità, e le spiana, con la diplomazia e se serve anche con la forza, "regista nascosta", spia sempre accesa che tutto fa tranne che il presidente messo lì a stringere mani, come ce ne sono tantissimi anche a Varese.
«Milano Cortina ha un sapore e una responsabilità speciali ma è anche, in un certo verso, quasi "normale" per chi come noi dall'84 a oggi ha avuto 56 atleti alle Paralimpiadi: tra sport estivi e invernali ogni due anni accendiamo un fuoco olimpico. Stiamo ancora celebrando i fasti di Parigi e Milano Cortina, con l'attesa che cresce, è già qui»: la vita corre veloce per Daniela e per la Polha, ma partiamo da quello che c'è dentro, qui dove la sostanza travolge l'apparenza.
Quanti atleti, quali discipline e quanta vita c'è dentro la Polha?
Tra avviamento allo sport e agonisti, tra cui tanti top level, siamo in 150 (un terzo e due terzi le proporzioni). Anche i big del nuoto come Federico Morlacchi, Arianna Talamona e Giulia Terzi, però, hanno la loro vita che non ruota solo attorno allo sport: Giulia, che è andata a fare le Paralimpiadi di Parigi con la bimba di sei mesi, sta aspettando il secondo bambino...
Abbiamo 10 discipline sportive e il più richiesto dai piccolini è il nuoto, dove ci sono progetti di collaborazione anche con gli ospedali. Oltreché a Varese, con il nuoto siamo presenti in tre piscine a Milano perché Federico e Arianna avevano bisogno di allenarsi in una piscina da 50 metri: nel capoluogo lombardo è esploso un mondo perché vedendo questi due ragazzi allenarsi, se ne sono avvicinati altri, da Simone Barlaam ad Alberto Amodeo. Certo, essere divisi in vasche diverse e a volte non vicine mette un po' in croce i ragazzi, i genitori e chi accompagna i bambini. Aspettiamo la piscina olimpica di Varese in via Sanvito per riunire tutti, agonisti e non: noi siamo pronti, anche se finora da ogni mancanza è nata un'opportunità.
Oltre al boom del nuoto c'è di più: cosa?
Atletica, tiro con l'arco, bocce, equitazione, handbike, kayak, tennistavolo (che sta esplodendo), tiro a segno, snowboard, ovviamente sledge hockey, ma anche calcio balilla. Ecco, prendete quest'ultimo: abbiamo tre atleti in nazionale e una campionessa del mondo della zona di Ivrea, ma la distanza per noi non conta. Dove c'è un gruppo che ha bisogno di una copertura e di un'associazione, ci mettiamo a disposizione. O ci spostiamo noi, o arrivano loro a Varese. Siamo nati come polisportiva nell'82, quando era facile perché c'era una federazione per ogni settore e stop, poi è nata la FISD (Federazione Italiana Sport Disabili), quindi il CIP (Comitato Italiano Paralimpico) con le sue federazioni... quindi per noi adesso avere 10 settori vuol dire avere 10 affiliazioni, tante federazioni, tesseramenti, assemblee: insomma la cosa è un po' più grande e complessa.
Perché un ragazzo disabile si avvicina allo sport?
In genere si avvicina per fare nuoto e perché è passato il messaggio che lo sport aiuta. Ci sono questi grandi esempi come Barlaam e Morlacchi che fanno venire voglia di iniziare. Altre volte, invece, il paragone con chi ce l'ha fatta fa paura e c'è chi pensa "io non ci riuscirò mai". La cosa importante è riuscire ad agganciare i bambini e i ragazzi per la prima nuotata: quando succede, capiscono che non è così impossibile e il gioco è fatto.
Con lo sledge hockey, che si pratica su uno slittino, non è così facile come con il nuoto, anzi...
Ci sono persone che vengono a provare ma che non riusciamo a catturare, nonostante i nostri tanti campioni. Gente che magari si è fatta male, ha paura di farsene ancora. Eppure le opportunità sarebbero enormi, visto che questa disciplina potrebbe essere praticata anche da ragazzi che non possono più stare in piedi sui pattini per problemi al menisco o alla caviglia. Basterebbe provare per rinascere e divertirsi.
Tutti vedono in te il punto di riferimento: ma Daniela Colonna Preti non "è" la Polha.
Sono la punta dell'iceberg, ed è un iceberg con una bella base. Noi siamo suddivisi nei vari settori, per cui c'è un consiglio direttivo dove c'è il "signor" hockey, la "signora" atletica e così via...
Siete l'unico centro di avviamento allo sport paralimpico in Lombardia riconosciuto dal Cip, di cui sei responsabile. E affrontate il problema dell'accessibilità economica: come?
Abbiamo le strutture, le attrezzature e i tecnici per poter avviare dalla base qualunque disabile allo sport, oltre alla competenza trasversale per avere il primo contatto con bambini, i ragazzi e i genitori. Questo legame nei rapporti, quando nasce, dura per sempre: vedo crescere e cambiare i "miei" ragazzi, come Simone Barlaam che praticava triathlon con il suo papà e arrivava con le stampelle all'arrivo della maratona, ma era fortissimo nel nuoto e, infatti, nel nuoto poi è esploso. Potrei citarne centinaia che ho conosciuto e visto crescere, e questa è la parte che mi piace di più del mio lavoro. Poi devo per forza occuparmi di tutto quello che sta alle spalle e che permette la vita dell'associazione. Anche perché quando diciamo sport per tutti, immaginano uno sport per disabili, ma non è soltanto questo: deve essere anche accessibile economicamente e per questo abbiamo una quota associativa fissata in 50 euro all'anno da secoli, oltre a quote di frequenza che, comunque, non coprono assolutamente i costi del "colosso" Polha. Non impediamo a nessuno, nemmeno alle famiglie degli atleti, di darci un contributo, però dobbiamo garantire anche chi non ce la fa a sostenere l'impegno economico di poter compiere il suo percorso fino al top.
Se dico Paralimpiadi, come reagisci?
Abbiamo appena festeggiato il rientro dei "nostri" otto atleti da Parigi, 7 nel nuoto e 1 nell'atletica, e siamo già qui a parlare di Paralimpiadi invernali in casa. Mi viene un po' di ansia perché prepari dei ragazzi per un quadriennio e poi non tutti magari vengono convocati, quindi devi anche un pochino assorbire la loro delusione, oltre alla nostra. Ma Milano Cortina è uno stimolo eccezionale. E se sempre al nostro para ice hockey, che io continuo a chiamare sledge hockey, ho i brividi...
Dove nacque il brivido dell'hockey su slittino?
Tutto ebbe inizio qualche anno prima di Torino 2006, quando questo fantastico sledge hockey arrivò dall'estero. Tra mille difficoltà organizzammo nel febbraio 2003 il primo raduno nazionale di Varese andando a pescare atleti già pronti da atletica, canottaggio, handbike che potessero aver voglia di provare: all'inizio fu l'Armata Brancaleone, chiamata così proprio perché non avevamo soldi e gli slittini arrivarono in prestito come le divise, "regalate" da una squadra regionale di ragazzini della Federghiaccio... io avevo Ambrogio Magistrelli, Marco Re Calegari e gente adulta che per la prima volta scendeva in pista indossando magliettine e caschetti piccoli così. Insomma, siamo davvero partiti come un'Armata Brancaleone, ma con una voglia che a volte adesso non vedo più, con quella fame e quell'entusiasmo di chi dice "dai, proviamo". E che dal nulla arriva a fare Europei, Mondiali e Paralimpiadi.
Qual è la tua speranza per le Paralimpiadi?
Intanto io speravo che rimanesse a Milano qualcosa per il ghiaccio, cosa che non accadrà e questo probabilmente segnerà gradatamente la fine del nostro sport visto che sarà impossibile continuare a praticare lo sledge hockey - che alle Paralimpiadi mostrerà un'intensità pazzesca e conquisterà tutti - solo con i numeri di Varese, anche perché gli anni del Covid ci hanno impedito di creare uno zoccolo duro. Io ho ragazzi che arrivano da Legnano, da Crema o dal Piemonte facendo sacrifici pazzeschi. La situazione attuale è la stessa di vent'anni fa con una squadra a Torino, una a Varese e una in Alto Adige, l'unica che cresce e da cui capita di prendere giocatori in prestito perché l'obiettivo è sempre quello di mandare avanti il movimento, al di là di chi vince e chi perde o delle ore ghiaccio, anzi dell'ora tutta nostra (e c'è qualcuno che è venuto perfino a chiedercela...), oltre all'allenamento mattutino dei nazionali. Con la Nazionale diremo la nostra con il portierone e "salvatore" Santino Stillitano e con qualche giovane cresciuto come Alessandro Andreoni.
Alessandro Andreoni, varesino dello sledge hockey e designer di Milano Cortina ma, soprattutto, persona unica capace di arrivare al cuore di tutti (leggi QUI): ce lo racconti da dentro?
Alessandro era un bambino che veniva in piscina con noi e che, a un certo punto, ha avuto delle piaghe sotto un piede: non poteva più fare nuoto finché uno dei nostri volontari gli ha proposto di provare con l'hockey. «Mio fratello ci giocava, io ci ho già provato e non riesco a stare in piedi sui pattini» le sue parole. E noi: «Ma chi ti ha detto di stare in piedi?». Presi uno slittino e gli organizzai una prova con il suo papà al palaghiaccio: quello che ho visto quel giorno non l'avrei più rivisto. Alessandro era più luminoso della torcia paralimpica, su e giù dal ghiaccio con quello slittino: ci è salito quel giorno e non è più sceso. È stata la svolta della vita, perché da ragazzino con una disabilità è diventato un uomo capace di dare tanto e avere altrettanto. Alessandro trasferisce emozioni e passioni purissime, è un bellissimo esempio e rappresenta quei piccoli grandi miracoli che vedo quotidianamente e per cui vale assolutamente la pena andare avanti al di là di ogni fatica.
Una storia bellissima come quella di Santino Stillitano, 56 anni, leggendario portiere dello sledge.
Un altro grandioso esempio di come basta provare una volta per non tornare più indietro. È arrivato tenendo per mano suo figlio al nostro stand della Schiranna durante Vivilago. Voleva continuare a fare atletica, ma in quel momento non avevamo iscritti. Gli ho detto: "Non vorresti provare l'hockey?". Si è ritrovato sullo slittino insieme a Roberto Radice, altro nostro giocatore, in un un camp che aveva organizzato la federazione: ha provato a girare un po' sul ghiaccio e, poi, ha detto: "Ho fatto il portiere di calcio, vediamo come me la cavo qui". È diventato l'icona dei portieri del para ice hockey perché fa la differenza. Sempre. Con lui in porta vinci 5-0, senza di lui perdi 5-0.
Quando sei stanca, cosa ti fa andare avanti?
Stanca fisicamente lo sono spessissimo, la sera sono morta: stufa, mai. Questa è la mia vita e anche se si potrebbe pensare che ho sacrificato un po' i miei tre figli e mio marito, io preferisco dire che mi sono venuti dietro tutti. Anche adesso che le nipotine avrebbero bisogno di avere un po' più presente la nonna, penso sempre a come è iniziato tutto: il fatto di non aver trovato lavoro come biologa mi ha permesso di trovare la Polha. La divina provvidenza mi ha cacciato qui, la divina provvidenza mi toglierà dagli impicci. Quando sarà il momento, spero che arrivi qualcun altro in grado di portare avanti quest'avventura, anche perché un conto è prendere in mano la società di allora con 30 atleti, un altro il colosso che è diventata. Però non penso al futuro: affronto giorno per giorno quello che devo fare, e cerco di farlo sempre al meglio. Poi c'è sempre la divina provvidenza a vedere e provvedere.
Divina provvidenza in azione alla Polha: come?
Ci fu un giorno in cui era di importanza vitale spendere 7 mila euro ma la segretaria storica, Marinetta Molinari, 40 anni con me in Polha e una vita assieme da quando eravamo in ospedale in attesa entrambe di partorire, mi disse: "Sul conto non li abbiamo, cosa facciamo?". Le risposi: "Aspettiamo un attimo...". Poco dopo mi richiamò per dirmi che un sostenitore ci aveva appena versato 7.020 euro.
Marinetta... e poi?
Ho i miei "boys": Ambrogio Magistrelli, vicepresidente per tantissimi anni che c'è sempre anche se non è più in consiglio; Marco Re Calegari, tre Paralimpiadi nell'atletica, fantastico nel canottaggio, nel kayak e nell'hockey, poi fermato per problemi cardiaci ma, risolti quelli, ancora nell'handbike; Bruno Balossetti, attuale vicepresidente che ha disputato 5 Paralimpiadi nell'hockey. Diciamo che siamo i quattro moschettieri, cinque con Marinetta, e siamo un gruppo forte insieme ai vari referenti di ogni settore, perché non possiamo essere ovunque né tuttologi. Poi ci sono i volontari grazie ai bandi del servizio civile o quelli che io chiamo, facendoli sorridere, i "galeotti" mandati dal tribunale a fare lavori socialmente utili: qualcuno si ferma, qualcuno passa e va, diciamo che rispetto al passato è più difficile avere volontari giovani, però è una situazione comune a tutti.
Il palaghiaccio di Varese per te cosa rappresenta?
Il fulcro di tante storie, forse di tutto. Sono felice di come sono andate le cose con il palaghiaccio, che "doveva" essere rifatto, perché anche negli anni della chiusura ci siamo seduti intorno a un tavolo e abbiamo collaborato con le altre società e con tutti, così come facciamo oggi. Quel trovarsi assieme per cercare il bene comune è l'eredità lasciata dal passaggio tra la vecchia e la nuova struttura.
Com'è il rapporto con le istituzioni?
Buono. Non abbiamo mai pestato i piedi, se abbiamo chiesto è perché abbiamo dato. A Varese ci troviamo bene, anche nell'utilizzo degli impianti, dalla pista di atletica a Calcinate alle palestre. Il progetto “Sport si può” è un capitolo importantissimo della nostra polisportiva perché è in corso da 25 anni, all'inizio per merito della Provincia, oggi grazie a qualche sponsor che ci sostiene: facciamo nuotare 150-200 bambini all'anno senza avere alcun ritorno, perché nessuno di loro è tesserato, tanti sono autistici con problemi gravi. E comunque anche lì le istituzioni ci sono e il Comune ci dà una mano. La Regione ci dà un contributo come ASD.
Quando è possibile trovare tutta assieme la famiglia della Polha?
Alla festa di Natale nella nostra sede di via Valverde, in zona palazzetto: è un momento bello e grande in cui arrivano più o meno tutti. Anche se più che ritrovarci e farci vedere, puntiamo sulla concretezza quotidiana, andando anche nelle scuole e partecipando ai principali eventi organizzati dal Comune. La Polha c'è, la gente lo sa. Poi è difficile unire i nostri atleti di punta: è accaduto recentemente a Roma con la consegna dei Collari d'Oro al merito sportivo 2025 ai nostri nuotatori d'oro ai Mondiali di Singapore Simone Barlaam, Alberto Amodeo, Gabriele Lorenzo, Arjola Trimi e a Emanuel Perathoner, para-snowboarder che parteciperà alle Paralimpiadi. Tra i primi e l'ultimo non c'era mai stato un contatto: vederli assieme per la prima volta in un'"isola" di Polha nella capitale è stato bellissimo.
Daniela Colonna Preti, ovvero la "regista nascosta": perché nascosta?
Tengo i contatti con tutti, avvicino le persone, le faccio muovere e incontrare. È questo che mi alimenta, perché se dovessi fare soltanto il presidente che stringe mani la voglia sarebbe a zero. Quello che nutre il mio fuoco sono i ragazzi, le loro storie, cacciare "dentro" il naso nella loro vita anche solo per chiedere "come stai" e interessarmi dei problemi. E, poi, aprire una porta quando sembra sbarrata: con molta fatica, ultimamente abbiamo iscritto da noi una bimba italiana che vive in Inghilterra con una disabilità visiva, visto che là non ha speranze di fare sport. Lei farà un po' avanti e indietro dalla nonna italiana per poter nuotare con noi. Ecco la cosa bella: chi vuole venire alla Polha è libero di farlo, così come chi parte da qui per cercare qualcosa di diverso altrove. L'assenza di gelosia, il richiamo del gruppo: prendete un allenatore come Massimiliano Tosin, il top del nuoto paralimpico che ora non è più tecnico azzurro e che è andato a sue spese ai Mondiali di Singapore perché sapeva che ai suoi ragazzi servivano il suo sguardo e la sua presenza. Lo chiamano dall'Australia, dall'Inghilterra, dalla Spagna ma il suo cuore è qui.




