Questa mattina, alle dieci in punto, un folto gruppo di curiosi, appassionati e semplici cittadini si è stretto attorno al monumento di Silvio Gambini nel parco degli Alpini di via Mameli. Non un raduno casuale, ma il primo passo di un viaggio nella Busto che non ti aspetti: quella plasmata dall’estro di uno dei suoi più grandi interpreti dell’architettura tra Liberty, Déco e Razionalismo. A guidare l’esplorazione, impeccabile, Alberto Pistola, capace di trasformare dati, date e dettagli in un racconto vivo e coinvolgente.
Accanto ai partecipanti, l’assessore alla Cultura Manuela Maffioli ha colto l’occasione per rilanciare il valore culturale della città. «Busto brutta?», ha esordito, ribaltando lo stereotipo con il sorriso. «Questa è una delle tante occasioni per aprire uno sguardo diverso sulla città. Con tredici festival culturali, novantaquattro spettacoli teatrali e percorsi urbani dedicati, ci stiamo affrancando da un’immagine che non ci appartiene più». Il successo dell’iniziativa lo dimostra: sia la tappa odierna dedicata alla zona est sia quella prevista per domenica prossima, dedicata al versante ovest, sono già sold out. A suggellare il momento, un messaggio toccante lasciato dalla nipote di Gambini, oggi ottantanovenne: «Mio nonno sarebbe stato felice di questo omaggio». Un’anticipazione che profuma di futuro: a maggio, una mostra dedicata al Liberty.
Il racconto di Pistola riparte dalle origini. Gambini, “bustese non bustocco”, nasce a Teramo nel 1877 e approda in Lombardia alla fine dell’Ottocento. Dopo un periodo a Castano Primo, si innamora di Busto Arsizio, dove entra nell’ufficio tecnico comunale come agrimensore. Qui firma opere fondamentali come il macello e l’acquedotto e, nel 1928, ottiene il riconoscimento ufficiale di architetto grazie alla qualità del suo lavoro e della sua esperienza. La guida tratteggia l’evoluzione dello stile Liberty, nato dal gusto floreale e dall’influenza di un tessuto londinese Liberty, diventato simbolo di un’estetica moderna e raffinata nelle città industriali. Dal monumento di via Mameli, erede di ciò che resta di casa Rena, il gruppo scopre anche perché questa struttura sia stata traslata proprio qui: dove un tempo sorgeva casa Bossi.
Il percorso si addentra tra le architetture eclettiche di Gambini, che attraversò tutti i linguaggi del Novecento, dal Déco al Razionalismo. Casa Sant’Elia offre lo spunto per raccontare i piani regolatori da lui firmati in diverse città lombarde, mentre i ferri battuti testimoniano la cura artigianale dei dettagli. A seguire, casa Rabolini, il Villino Dircea (dimora del Gambini) con puttini, leoni e decorazioni generose, casa Frangi, casa Armiraglio, casa Masera, villa Solbiati e villa Leone: un mosaico di forme, materiali e intuizioni che restituisce tutta la ricchezza del suo percorso artistico.
Novanta minuti intensi per riscoprire una città che, a saperla guardare, vibra ancora dell’energia creativa del suo passato. Un tour istruttivo, appassionante e – a detta di molti partecipanti – sorprendentemente bello. Busto Arsizio, oggi, si è lasciata osservare con occhi nuovi.




