Busto Arsizio - 29 ottobre 2025, 13:01

Preghiera per Livatino in tribunale a Busto: «La giustizia è una vocazione»

Un ponte tra fede e giustizia, tra storia e attualità, nel cuore del luogo simbolo della legalità cittadina. Celebrato il ricordo del "giudice ragazzino" con una cerimonia presieduta da monsignor Vegezzi e da don David Maria Riboldi. Il presidente Miro Santangelo ha citato le parole di Giacinto Tunesi, che guidò il tribunale all'inizio del Novecento

Un momento di preghiera e riflessione per ricordare il Beato Rosario Livatino, il "giudice ragazzino" assassinato dalla mafia a soli 37 anni. Mercoledì mattina, l'aula Falcone-Borsellino del Tribunale di Busto Arsizio ha ospitato una cerimonia che ha unito il mondo della giustizia e quello della fede. Alla presenza del presidente del tribunale Miro Santangelo, di magistrati, avvocati e rappresentanti della Polizia Penitenziaria, l'evento è stato presieduto da monsignor Giuseppe Vegezzi, Vicario dell'Arcivescovo di Milano.

L'iniziativa, organizzata dal cappellano del carcere don David Maria Riboldi, ha voluto legare la memoria del magistrato siciliano alla storia della giustizia locale. «Quest'anno aggiungiamo un tocco di bustocchità», ha spiegato don Riboldi, introducendo la figura di Giacinto Tunesi, presidente del Tribunale di Busto Arsizio dal 1901 al 1916. A dare voce agli scritti del suo predecessore è stato proprio il presidente Santangelo, leggendo un testo di sorprendente attualità sul tema del recupero dei detenuti. Tunesi scriveva della necessità di non abbandonare «lo scarcerato, per quanto si mostri restio», affidandolo a istituzioni come i "Patronati per i liberati dal carcere".

Il cuore della commemorazione è stato l'intervento di Monsignor Vegezzi, che ha tracciato un ritratto profondo di Livatino, proclamato beato il 9 maggio 2021. «Essere magistrati non è solo una professione, è una vocazione», ha affermato il vescovo. Ha poi ricordato la celebre frase del giudice: «Quando moriremo, nessuno ci chiederà quanto siamo stati credenti, ma credibili». Una credibilità che, per Livatino, nasceva da una fede profonda e vissuta con riservatezza, simboleggiata dalla sigla "S.T.D." (Sub Tutela Dei, sotto la protezione di Dio) che appuntava sui suoi scritti.

«La sua fiducia era riposta solo in Dio, non nei poteri umani», ha continuato monsignore, «e proprio per questo fu un uomo libero. Libero di indagare, libero di vivere bene, libero di morire martire».

L'esempio di Livatino, secondo Vegezzi, è un monito potente per chi opera oggi nel mondo della legge. «Il suo martirio ci ricorda che la giustizia, quando è vissuta come vocazione, può diventare una croce. Ma anche che la croce, quando è portata con fede, diventa luce». Un invito, dunque, a vivere la propria professione con integrità, coraggio e sobrietà, perché, ha concluso, «non è impossibile diventare santi facendo la propria professione, se la facciamo con il cuore retto e con lo stile di Cristo».

La cerimonia si è conclusa con la preghiera corale e la benedizione, rinnovando un appuntamento che, anno dopo anno, offre un importante spunto di riflessione sul significato più alto dell'amministrare la giustizia.

Giovanni Ferrario

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