Sport - 23 ottobre 2025, 13:00

VIDEO. Papi, imperatori e lo spirito del cavaliere: la scherma scrive la storia con il Maestro Toràn

Una serata-evento al Museo della scherma dell'Accademia Felli, dove il Maestro Giancarlo Toràn, su "sfida" dell'Assessore Maffioli, ha tracciato un percorso millenario tra fede, guerra e l'eredità morale che ci appartiene ancora oggi, in un anno cristianamente importante come quello del Giubileo

Può un'arte marziale millenaria diventare la lente attraverso cui rileggere la storia dell'Occidente? La risposta è un "sì" convinto, emerso con forza durante il settimo e penultimo incontro del ciclo "La scherma si racconta", tenutosi ieri sera nella suggestiva cornice del museo dell'Accademia della Scherma Andrea Felli. Davanti a una sala gremita, il Maestro Giancarlo Toràn ha raccolto una vera e propria sfida intellettuale, trasformando una conferenza dal titolo "La spada e lo spirito. Scherma, Cristianità e il significato del Giubileo" in una narrazione avvincente che ha attraversato secoli di storia, fede e pensiero.

La serata si è aperta con l'introduzione del vicepresidente della Pro Patria Gaetano Felli, seguita dai saluti istituzionali dell'assessore alla cultura Manuela Maffioli e del vicesindaco con delega allo sport Luca Folegani. È stata proprio Maffioli a svelare la genesi dell'incontro, nell'anno del Giubileo, presentandolo come una sfida lanciata al Maestro per esplorare un tema tanto complesso quanto affascinante. Presente anche l'assessore Mario Cislaghi, membro della giunta ma anche nonno di un giovane schermidore.

Il Maestro ha esordito con umiltà e passione, mettendo subito le carte in tavola. «Non sono uno storico, per cui può darsi che ci siano delle imprecisioni, ma la mia è stata una ricerca sincera». Una ricerca che partiva da una domanda apparentemente irrisolvibile, una contraddizione che ha segnato la storia dell'Occidente: «Come siamo passati dal porgere l'altra guancia ad uccidere il nemico?».

Da qui è iniziato un viaggio mozzafiato. Il primo protagonista è stato San Paolo, il «miles Christi, soldato di Cristo, soldato per la difesa della fede». Un guerriero dello spirito, non della spada. Subito dopo, San Giorgio, icona della cavalleria, patrono degli schermidori, ma anche lui, ha ricordato Toràn, un soldato romano che «lascia le armi» per affrontare il martirio sotto Diocleziano. L'ideale cristiano, dunque, nasce in antitesi alla violenza delle armi.

Ma la storia, si sa, è imprevedibile. Con Costantino e l'Editto, tutto cambia. «I cristiani non sono più perseguitati. Diventano parte integrante dell'impero». E qui sorge il problema, incarnato da San Martino. «Lui era un guerriero, prima di convertirsi. A questo punto, diventato un cristiano, lascia la spada e diventa vescovo. Ma questo, oramai, non va più bene, perché è un problema per l'amministrazione dello Stato. I cristiani non combattono, in un momento in cui combattere è una necessità».

Come risolvere questo dilemma? La soluzione teologica arriva da Sant'Agostino, che teorizza il concetto di "guerra giusta". Una guerra, ha spiegato il Maestro, che può essere combattuta se dichiarata da un'autorità legittima, per una causa giusta e con la "retta intenzione" di ottenere la pace. È il ponte filosofico che permette al cristiano di impugnare di nuovo la spada, questa volta in nome di Dio.

Questo nuovo spirito si incarna nella cavalleria delle Crociate. Il Maestro ha descritto con trasporto il rito iniziatico, la veglia d'armi: «Depositava l'arma sull'altare, che veniva benedetta, e passava una notte in meditazione a riflettere sulla morte, sul destino a cui poteva andare incontro e a rafforzarsi nello spirito». Il cavaliere medievale non è più solo coraggio e lealtà, ma deve incarnare nuovi valori: la pietas – «Dio, patria e famiglia, ci riportiamo ancora a quello» – e la cortesia, la gentilezza d'animo.

La riflessione finale del Maestro Toràn ha saputo collegare quel mondo lontano di ideali e responsabilità direttamente al presente, coinvolgendo l'intera platea. Ha parlato di chi si spende per gli altri, di chi si oppone all'ingiustizia, di chi si impegna per il bene comune, attualizzando la figura del cavaliere.

«Spesso ho detto ai ragazzi che noi schermidori siamo gli eredi di questa tradizione cavalleresca. Beh, a ben vedere, non è precisamente così. Siamo tutti noi, nel senso più generale del termine. Nel momento in cui fate qualcosa per il bene comune, nel momento che nel piccolo, nel grande ci impegniamo per migliorare, noi tutti siamo cavalieri. Abbiamo quindi questo grande onore e anche questa grande responsabilità, e bisogna tenerne conto».

Con un lungo e caloroso applauso si è conclusa una serata che ha unito storia, sport e lingua italiana, dimostrando ancora questa volta come la scherma sia uno scrigno di valori universali.

Giovanni Ferrario