Ieri... oggi, è già domani - 17 ottobre 2025, 06:30

“chi ga marmua” - “chi mormora”

Quasi per caso, mentre dialogo col Giusepèn, salta fuori un'espressione tipica Bustocca che avevo sentito anni fa, ma per una ragione che non conosco, m'è scivolata addosso e non l'ho trattenuta. Ve la scrivo subito...

“chi ga marmua” - “chi mormora”

Quasi per caso, mentre dialogo col Giusepèn, salta fuori un'espressione tipica Bustocca che avevo sentito anni fa, ma per una ragione che non conosco, m'è scivolata addosso e non l'ho trattenuta. Ve la scrivo subito. L'ha ricordata Giusepèn: "a men, m'à sto'n sul perdè chi ga marmua" - la traduzione lessicale fa un po' sorridere e un po' fa schernire: "a me, sta sulle scatole chi mormora". In verità c'è la frase "in sul perdè" che non specifica le "scatole", ma il "perdè" significa il culo. L'ho detto e l'ho scritto. Si usava "ul perdè" quando si parlava di galline, di uova e di pulcini. E si è associato "ul perdè" con il sedere (non lo star seduti), ma proprio quella parte anatomica del corpo che permette le ..scariche solide. Quindi, il "mormorare" (non come le acque del Piave che stigmatizzano il "non passa lo straniero"), significa "parlar male" degli altri, senza il contraddittorio. Il "mormorare" è peggiore del peccaminoso. Almeno, ci fosse il contraddittorio, si verificherebbe uno scambio di opinioni o un litigio, o un semplice discorso chiarificatore; invece, "marmuò" (mormorare) non ammette repliche. E che cosa ci fa concludere? O ci si accerta di quanto s'è ascoltato oppure, ci si fida della persona che ci porta notizie sul soggetto del "marmuò".

Si sono tuttavia riscontrate, molte dicerie sul "marmuò"; molte delle quali, sono espresse da chi non se la sente di affrontare il problema; una "calunnia" irrispettosa e, come recita un'opera lirica, "la calunnia è un venticello" simile a una frustata capitata tra capo e collo, senza reticenza. 

Giusepèn, condanna a priori chi "marmua" senza ritegno e dire candidamente "al m'à sto'n sul perdè", in epoca moderna lo si traduce senza volgarità, "mi sta sul culo".

Passiamo ora a un'altra frase specifica che fa chiasso quando la si ascolta, ma che chiarisce bene il succo del discorso. Da Bustocco col Dialetto "spatasciò" (indigeno, virile, autentico), la frase "candu a merda la monta'l scogn o la spuza o la fò dogn" - d'accordo, non è una frase da Liceo gentile, ma chiarisce sia la personalità dell'individuo sia il senso del suo agire. Ci sono dentro coloro che "spandano merda", i boriosi, i "so tutto io", chi "in dumò paòl" (sono solo parole), coloro che, senza ritegno, accusano chi invece sa davvero e millantano la verità. Ebbene, quando costoro "siedono su uno scranno", da ignoranti, saccenti, incompetenti, da sprezzanti circa la verità, da pusillanimi si macchiano di colpe dovute unicamente al non-sapere, contrabbandato con la verità personale.

E, qual è il risultato? l'analogia tra la "merda" e il "non sapere" giunge proprio al danno compiuto. Si sa che la merda puzza. E' una "caratteristica" dello "sterco di persona o di animale" e, nel figurato è riferito a persona o cosa priva di pregio e di interesse. Ma pure di "persona spregevole" e, per chiarezza, "fare una figura di merda" è qualcosa di deprecabile, una figuraccia - anche una "situazione di merda" fa comprendere che c'è di mezzo il pericolo, l'imbroglio, il sotterfugio.

Lo stupore che ne deriva, manifesta il disappunto, irato che si conclude con un netto rifiuto. Non per altro, ma talune espressioni come "è una merdata" è per definire qualcosa di spregevole o di nessun valore. Qualcosa di buono e di antico, però, c'è. C'era chi a Busto Arsizio si era "inventato" un mestiere. Vale a dire "ul sagia-merda" (assaggiatore) - non è per palati fini, ma il "merdaiolo" (è citato così anche dal Vocabolario) era colui che spazzava le strade dalle immondizie, ma pure da chi graduava il grado di acidità della bonza raccolta dalle latrine.

Tra Giusepèn e me, ci scappa una battuta. La dico io, per non destinare tulle le colpe a Giusepèn: "sem dre fò 'na figua da merda, Giusepèn" (stiamo facendo una figura... barbina, poco fine), ma Giusepèn ribadisce "l'e vea non" (non è vero), ma "a montan non ul scogn e che naguta da dogn" (non montiamo sopra lo scranno e di danni non ne combiniamo).

Ora più che mai, ci vuole il Nocino, anche per dimenticare l'olezzo che procurano i "senza tèma" (senza ritegno) o i parolai che parlano troppo, ma concludono pochissimo! - speriamo unicamente di non aver perso l'aplomb che ci contraddistingue: signorile sempre... talvolta anche... volgare!

Gianluigi Marcora

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