Storie - 25 settembre 2025, 08:40

Il Cammino di Santiago a 84 e 80 anni: «È un cerchio che si chiude. E ogni volta ti cambia dentro»

Marino Calvenzani e Luigi Romano, due pellegrini “diversamente giovani” di Gorla Maggiore, hanno affrontato il Cammino di Santiago de Compostela con un gruppo affiatato e uno spirito che non conosce età. Un viaggio lungo 420 chilometri tra fatica, risate, riflessioni e un'emozione che non svanisce mai

«Credo che questo cammino per me sia stato la conclusione di un cerchio. Ho cominciato con Santiago e sicuramente finisco con Santiago». Parla così Marino Calvenzani, 84 anni, gorlese e veterano del gruppo di pellegrini che ha affrontato nelle scorse settimane il Cammino da Porto a Santiago de Compostela, 13 tappe per un totale di 17 giorni di viaggio e 420 chilometri percorsi. Con lui Luigi Romano, 80 anni, altro “diversamente giovane”, e un gruppo di amici compatti e affiatati: Claudio Galli (71), Alfonso Colombo (68), Carlo Maria Landoni (66), Pierangelo Macchi (65), Fausta Leonardi e Antonella Luraschi (60).

Abbiamo incontrato Marino Calvenzani e il “coach” Alfonso Colombo quattro giorni dopo il loro rientro, quando la fatica si fa sentire ma le emozioni sono ancora vive e vibranti. Accanto a loro anche “Luigino” Romano. Tutti e tre raccontano con semplicità e lucidità il significato profondo di un’esperienza che va ben oltre il semplice camminare.

«Ero un po’ il talismano del gruppo»

Marino, dopo 16 anni dalla sua prima volta a Santiago, ha scelto di rimettersi in gioco. «È stato un po' un rimettermi alla prova - racconta - anche se nel frattempo ho fatto altri cammini, come la via Francigena e il Cammino Materano. Camminare 6-7 ore al giorno, con il meteo incerto, non è affatto semplice alla mia età. Però il gruppo mi ha aiutato tantissimo: c’è stata una sintonia eccezionale, anche se poi bisogna “andare” con le proprie gambe».

Con un sorriso, aggiunge: «Ero un po’ il talismano del gruppo, e le due donne mi hanno fatto da “badanti”. Mi sono sentito bene. Alfonso ha organizzato tutto alla grande: non c’è stato un solo intoppo. Poi alla sera si cenava bene, grazie ai nostri due “cuochi”. La soddisfazione è enorme. La stanchezza? È arrivata subito, appena è svanita l’adrenalina del cammino».

«Condividere tempo, spazio, fatica e storie»

Il viaggio è stato progettato nei dettagli da Alfonso Colombo, instancabile organizzatore: dal 2009 a oggi ha completato un pellegrinaggio all’anno, con l’unica pausa durante la pandemia. «Questa volta abbiamo percorso 262 km ufficiali, ma in realtà ne abbiamo fatti 420 visitando anche La Coruña, Muxia, Finisterre e Muros. Abbiamo dormito quasi sempre in ostelli privati e appartamenti, anche per questioni logistiche. Eravamo in otto, con due donne e due “nonni”: negli ostelli pubblici avremmo rischiato di non trovare posto».

Ma il vero significato del cammino, secondo Colombo, è difficile da esprimere: «Raccontarlo a parole non basta, bisogna viverlo. Condividi tutto: spazi, emozioni, dolori, gioie. A qualcuno di noi la vita ha graffiato l’anima. Il Cammino di Santiago ti cambia, non c’è dubbio. Se lo vivi bene, torni diverso. Arrivare su quella piazza, anche per me che era la terza volta, è sempre tremendamente emozionante».

E racconta di quegli attimi a Finisterre, al chilometro zero, dove «senti qualcosa dentro. È il momento in cui ognuno porta la sua storia, bella o brutta che sia, e la condivide».

«L’ho visto con altri occhi, ma con lo stesso spirito»

Anche per Luigi Romano si è trattato di un ritorno. «È la mia seconda volta. Dodici anni fa lo feci con lo spirito del pellegrino, e questa volta ho aggiunto anche uno sguardo diverso. È stato altrettanto bello. C'è solo una nota: oggi il Cammino di Santiago è molto più frequentato. Sembra quasi diventata una moda».

Ma ciò che resta intatto, per lui, è il cuore dell’esperienza: «Un viaggio che ti riempie a 360 gradi, con qualunque spirito lo affronti. La vera ricchezza è quella che ti porti a casa».

«Pellegrini una volta, pellegrini e amici per sempre»

Il gruppo di Gorla Maggiore ha funzionato: affiatato, ben assortito e capace di aiutarsi nei momenti più difficili. «Io - ammette Marino Calvenzani - ho paura delle discese con rocce bagnate. Ma lì mi hanno aiutato, tanto. Quando la strada lo permetteva andavo da solo, ma nei passaggi complicati non mi hanno mai lasciato».

«È sempre un’emozione - prosegue Calvenzani - soprattutto con un gruppo affiatato come il nostro. Però devo dirlo: sedici anni fa Santiago era diverso, meno “turistico”. C’erano solo ostelli pubblici, niente lavatrici né asciugatrici; si lavava a mano e si stendeva per il giorno dopo. Era più spartano, e lo preferivo così».

Un legame che si è rafforzato giorno dopo giorno, tra fatica, risate e silenzi condivisi. «Ci sono momenti in cui si ride, altri in cui si riflette - aggiunge Alfonso Colombo - e in tappe di sette ore tutto questo si alterna. È un viaggio anche interiore, una metafora della vita. Quando ci siamo salutati all’aeroporto per tornare a casa, gli occhi erano lucidi: già questo dice tutto. Dal primo cammino ho capito che pellegrini una volta, pellegrini e amici per sempre».

Il consiglio? «Vai, perché ti cambia - dice Colombo -. E non farti spaventare dalla fatica. La cosa più difficile è la predisposizione mentale. Ma se lo fai una volta, poi vorresti rifarlo sempre. Perché ti riempie. In tutti i sensi».

La magia del Cammino

Profondità interiore, amicizia, fatica, leggerezza. Il Cammino è tutto questo. «È come bilanciare un viaggio di consapevolezza e uno di condivisione - conclude Colombo -. È l’opposto di un mondo individualista, in cui ognuno pensa solo a se stesso. Invece qui impari che insieme si va lontano».

(nella foto, da sinistra: Marino Calvenzani, Luigi Romano e Alfonso Colombo)

Alessio Murace

TI RICORDI COSA È SUCCESSO L’ANNO SCORSO A SETTEMBRE?
Ascolta il podcast con le notizie da non dimenticare

Ascolta "Un anno di notizie da non dimenticare 2024" su Spreaker.
SU