Renzo Ulivieri classe 1941, grande allenatore di calcio tra le altre di Cagliari, Bologna e Napoli, presidente nazionale dell'Aiac, l'associazione degli allenatori, è stato l'ospite d'onore lunedì sera a Brebbia di un evento dedicato alla formazione degli allenatori, in modo particolare quelli dei settori giovanili, organizzato dalla sezione provinciale dell'Aiac.
Lo abbiamo incontrato a margine di questa vera e propria "lezione" di calcio che il folto pubblico ha ascoltato assorto e affascinato dalla grande saggezza e ironia del tecnico di San Miniato, toscano doc.
Presidente Ulivieri come deve essere un mister dei settori giovanili di calcio?
Prima di tutto cominciamo a eliminare la parola mister ed iniziamo a chiamarli maestri perché sono prima di tutto degli educatori e hanno la finalità di far apprendere le regole educative oltre che quelle del gioco del calcio. In un mondo che si sta sempre di più trasformando e dove la violenza sia fisica che verbale prevale, l'allenatore maestro deve essere un formatore. I vivai giovanili devono sempre di più divenire un centro formativo, dove il bambino si deve divertire, imparare a stare in gruppo, socializzare e essere educato alle buone maniere. I centri giovanili devono far crescere futuri uomini non campioni, questo è molto importante. Tra i professionisti arriva un ragazzo su 33mila perché è bravo e ha capacità calcistiche, ma ricordiamoci che gli allenatori devono far crescere gli altri 32.999.
Purtroppo sempre più spesso, alla partite delle giovanili, si assistono ad episodi di violenza sia verbale che fisica che vedono protagonisti anche i genitori.
Questo è un altro aspetto sociale attuale dove l'aggressività rientra ormai purtroppo nel comportamento quasi quotidiano. Nella mente dei genitori magari scatta il pensiero che il proprio figlio sia un campione che possa arrivare addirittura a vestire la maglia azzurra; stesso discorso vale anche per i nonni che vengono ad assistere alle partite. Bisogna far comprendere a queste persone che i loro figli sono in campo con lo scopo di divertirsi ed i loro comportamento aggressivo potrebbe influire negativamente sul proprio figlio o nipote, che dopo magari viene pure "canzonato", come diciamo noi in Toscana, ovvero preso in giro dai compagni. Io suggerisco di fare riunioni mensili periodiche tra allenatori e genitori ed applicare la tecnica dell'ascolto. Altro suggerimento, in alcuni luoghi in Toscana, i genitori non guardano le partite ma fanno loro stessi sport, come il calcio camminato che ha le sue regole. Potrebbe essere un'idea che le società possono attuare in modo da eliminare le frustrazioni di una settimana pesante di lavoro, facendo del sano sport.
Ora parliamo del calcio femminile italiano, settore al quale lei è particolarmente attento. Com'è la situazione ad oggi?
E' una realtà che sta crescendo, della nazionale maggiore abbiamo visto tutti i buoni risultati conseguiti sul campo, ma anche le Under 18 e le Under 15 stanno facendo bene. Siamo cresciuti in qualità, ma siamo ancora ben lontani dai numeri delle altre nazioni europee, il mio sogno è arrivare un giorno e parlare di calcio, senza distinzione quello maschile e quello femminile.
Quali caratteristiche deve avere un allenatore di una squadra femminile di calcio?
Non c'è differenza con i maschi, prima di tutto l'allenatore deve trasmettere fiducia; io posso raccontare la mia esperienza di otto anni da allenatore del settore giovanile. Fu un'esperienza bellissima; quando venni chiamato non sapevo anch'io come fare e mi presentai in questo modo: "Ragazze oramai ho una certa età e le arterie indurite, io non potrò mai adattarmi, cercate voi di adattarvi a me". Fu un'esperienza di vita bellissima.
Ha qualche rimpianto per errori commessi nella sua carriera di allenatore?
E chi non ha rimpianti, certamente di errori ne ho commessi tanti e oggi non li rifarei. Bisogna però valutare il contesto, è l'allenatore che deve decidere sia nel bene che nel male e bisogna saper anche accettare gli errori, fa parte della vita.
Nella sua lunga carriera da allenatore ha allenato anche il Cagliari. Ha un ricordo particolare di un grande campione varesino come Gigi Riva?
E' stato il mio presidente; una persona eccezionale, educata, rispettosa dei ruoli, mai sopra le righe. Nel nostro dialogare si percepiva benissimo la sua stretta vicinanza alla Sardegna, dove il calcio è un'identità del territorio; un attaccamento fortissimo all'Isola, senza dimenticare le sue origini. Tra altro quando Riva giocava nel Legnano era compagno di Mauro Mattini, un toscano nato nel mio stesso paese San Miniato. Ci siamo rivisti tutte e tre anni dopo nei pressi di Coverciano a ricordare i bei tempi. Grande Gigi, un uomo che le giovani generazioni dovrebbero prendere come esempio. Ai ragazzi bisogna far conoscere persone per il loro comportamento e per la loro scelta di vita e sicuramente Rombo di tuono è una di queste.