Si è trasformata in un fiume di ricordi drammatici e di accuse la nuova udienza in Corte d’Assise al Tribunale di Varese per il tentato omicidio di Lavinia Limido e l'omicidio del padre di lei, Fabio Limido. Davanti ai giudici la parte lesa ha ripercorso le tappe che hanno preceduto l’aggressione del 6 maggio 2024 in via Menotti a Varese, attribuendo al bustocco Marco Manfrinati un crescendo di persecuzioni e minacce: «Ucciderò te, tua madre, mia madre e il bambino», avrebbe detto l’imputato in una delle telefonate intercettate.
La Limido ha raccontato la fuga del 2 luglio 2022, quando con una scusa uscì di casa col passeggino per portare via il figlio: «Sono salita in macchina e non sono più tornata», ha detto, ricordando i giorni passati da un’amica avvocato ad Appiano Gentile e il rifiuto di rifugiarsi in una casa protetta. Dopo la misura cautelare di allontanamento, revocata dal gip di Busto Arsizio, arrivò la separazione formalizzata a dicembre 2022.
Le minacce si fecero più pressanti nel giugno 2023: «Ti ammazzo con un martello», disse in una telefonata, e proprio un martello fu trovato in auto dalla polizia al momento del fermo. Il giorno dopo, il 14 giugno, un altro messaggio: «Sono il messaggero della morte mandato da Dio», corredato da insulti e accuse religiose contro la famiglia Limido. In aula la donna ha descritto il fanatismo dell’imputato, legato a riti tradizionali in latino, al punto da chiamare papa Francesco «papa Merdoglio» e definirsi «l’unto da Dio» o «il messaggero di Allah».
Poi il ricordo straziante del 6 maggio 2024: «Porto mio figlio all’asilo e vado a lavorare. A pranzo vedo lui che apre la portiera, indossava un cappellino e una mascherina. Mi ha puntato un coltello e ha iniziato a colpirmi freddo, senza dire niente. Ero consapevole che sarebbe successo, ero pronta a morire».
Colpi alla testa e al collo, la corsa disperata, l’arrivo del padre con una mazza da golf per tentare di difenderla, fino all’intervento dei soccorritori: «Sentivo i buchi nella testa, ho chiesto che mi facessero delle foto perché stavo per perdere conoscenza».
La deposizione si è chiusa con la voce rotta dal pianto: «Avevo paura, tutti noi sapevamo che sarebbe successo. Lo sapevamo tutti». L’udienza è ancora in corso.