Settembre, con la luce accesa. Di tuoni. Di fulmini. Di ciò che si ripete ogni anno. E che si scorda. Per poi inneggiare al clamore, alla sorpresa, alle solite domande che offrono al tempo lo stupore.
Giusepèn fa un excursus su come un tempo "i paesàn" (i contadini) "i guardèan a chèl là al voltu" (guardavano il Cielo) - il "Chèl là al voltu" (Colui che sta in alto) era rivolto a Dio - per rispetto non si pronunciava invano il nome dell'Altissimo, ma la preghiera era sempre sentita, avvertita, implorante e ci si raccomandava con intenzionalità intrisa di Fede, senza mai dubitare quel che ci si poteva aspettare - la devozione era sincera - il contadino doveva sempre … sperare nella speranza. Gli eventi della Natura erano sempre improbabili, velleitari, da accettare sempre.
Con settembre, si prospettavano due particolari eventi: la raccolta delle patate e la viticoltura.
Con la temperatura che si affievoliva, anche la maturazione di "tuberi" e "uva" offriva il meglio del raccolto - eppoi, anche il lavoro di zappa e cesta, da eseguire "a mano" diventava una prerogativa di assemblaggio fra i vari "paesàn" del circondario - ci si dava una mano - ci si aiutava per giungere sempre al meglio della raccolta. Giusepèn mi fa ricordare fatti indelebili che non si raccontano se non evocati - di viti nel campo, ne avevamo poche - producevano uve da "mericanèl", vino leggero di bassa gradazione alcolica, ma sempre vino di casa nostra che serviva per il pasto fra le mura amiche e che terminava in poco tempo; salvo poi utilizzare le tipiche uve nostrane per giungere al "figascieu", un particolare impasto di farina "da pane" a cui si aggiungevano i chicchi "rotondi e ridondanti" di uva "clintòn", buona per dare sapore all'impasto e altrettanto buona per ornare il dolce che profumava del lavoro fatto in casa - oggi (a quanto so) c'è il Panificio Luraschi a mantenere la Tradizione - non ci si può esimere dal gustare questo tipico preparato che taluni erroneamente chiamano focaccia - "Ul figascieu" (parola di Giusepèn) "l'e non un dulzi, ma l'e pàn cunt'uga" (non è un dolce, ma è pane con uva) e lo si assapora, accompagnato sia con un "bon biceu da russu" (buon bicchiere di vino rosso), ma "anca cunt'ul biancu" (anche col vino bianco), molto appetibile quest'ultimo, dalle signore.
Per la raccolta delle patate, vanno bene i primi quindici giorni di settembre. Giusepèn soleva fare un giro di ispezione, con lo zio Giannino, per visionare la parte erbacea del ceppo che certificava il grado di maturazione del frutto - sentivo i loro discorsi - somigliavano a un "referto medico" che si proponeva di giungere al meglio durante il raccolto.
Con le piogge "non arroganti" del fine agosto e dei "primi di settembre" anche le zolle diventavano "più morbide" - le patate erano "coccolate" dalla temperatura mite e si mostravano pronte per subire il lavoro da compiersi con la zappa - qui, posso dir la mia - Giusepèn annuisce e ricorda i tempi in cui volevo "dare una mano allo zio" - "culzòn corti, maieta a dossu e guanti sui màn" (pantaloni corti, maglietta addosso e guanti sulle mani) - proprio così, in virtù di un'esperienza, quando non avevo indossato i guanti e, alla prima "zappata" il contraccolpo col manico dell'arnese, mi aveva procurato il taglio del palmo della mano.
Momenti "eroici" allora - papà si occupava della piccola vigna e del giardino e lo zio Giannino "accudiva" la campagna "na bela ciopa da tera" (un bel pezzo di terreno), non di nostra proprietà, ma che il Comune di Busto Arsizio ci aveva permesso di coltivare, avvertendoci che quando sarebbe passata la strada, avremmo potuto perdere il raccolto, senza pretendere il giusto indennizzo.
Ho provato così il lavoro "massacrante" della campagna - ero fresco di matrimonio e non avevo i mezzi per andare in vacanza - per cinque anni, le mie ferie le ho godute a settembre, proprio per godere di un lavoro umile, gratificante che permetteva "ai miei" di avere un introito.
Il primo giorno di lavoro nel campo, lo zio ed io eravamo a zappare - lui mi insegnava come colpire il bordo del ceppo, per non rompere le patate sottostanti - a volte centravo il tiro; altre volte producevo uno scempio - dal secondo giorno, lo zio cominciava col dire "mo a scernisàm i pom da tera" (adesso passiamo alla cernita delle patate), ma sapeva bene che io trasgredivo al suo ordine - gli dicevo semplicemente "tu comincia con la cernita; io vado avanti a dissodare il terreno" - e finiva sempre che lo zio aveva sempre patate da "scernì" (scegliere) ed io (forte e baldanzoso) continuavo a zappare. Successe che, il 9 settembre 1976 lo zio andò per funghi e, nel bosco di Verdabbio (in Svizzera) morì - io ero padre per la seconda volta (Laura Clarissa nata il 13 giugno 1976) ne partecipai alla "ricerca dello zio nel bosco" e quell'anno, a settembre non raccogliemmo le patate - lo feci, in onore dello zio, a gennaio 1977 (sic) con la terra gelata e il dolore nel cuore... ma questa è un'altra storia!