Storie - 24 agosto 2025, 15:40

GIRO DEL MONDO IN TERRA BUSTOCCA E IN VALLE. Ibrahim Malla, fotografo internazionale che unisce Siria e Italia: «Grato a Silvia, senza di lei non sarei dove sono»

Da Damasco a Marnate: «L’Italia è tutta bella e offre molte opportunità, a patto di lavorare sodo». Per la Siria dice: «Voglio contribuire alla ricostruzione partendo dalle scuole»

GIRO DEL MONDO IN TERRA BUSTOCCA E IN VALLE. Ibrahim Malla, fotografo internazionale che unisce Siria e Italia: «Grato a Silvia, senza di lei non sarei dove sono»

Ibrahim Malla è un nome conosciuto. Fotografo umanitario siriano e italiano nato a Damasco, è fondatore della prima Accademia di fotografia umanitaria al mondo, è ambasciatore di Buona Volontà per la Croce Rossa della Federazione di Bosnia ed Erzegovina, della Croce Rossa Ecuadoriana e della Croce Rossa Armena.

Insignito di numerose onorificenze tra cui la Medaglia d’argento al merito della Croce Rossa Italiana e la Medaglia d’oro all’onore della Croce Rossa Armena, Malla oggi vive in Valle Olona insieme alla sua famiglia italiana.

In Italia si è trasferito per motivi familiari. Nel 2010 sposa la marnatese Silvia Elzi e inizialmente scelgono di vivere a Damasco dove Malla è già un famoso fotografo. Poi arriva la guerra. Silvia deve rientrare in Italia, mentre Ibrahim per portare avanti la sua attività di fotografo per la Federazione Internazionale della Croce Rossa italiana e della Mezzaluna rossa prende base a Beirut.

Nel 2015 nasce Adam e Malla si trasferisce definitivamente a Marnate.

Ibrahim, che cos’è per te la Siria?

«La mamma, le radici, la famiglia d’origine. La Siria è la mia storia, la mia memoria».

Che cosa ti manca di più della Siria?

«Tante cose, il modo di vivere, il cibo, gli amici, il modo di parlare e di scherzare. E mi manca Damasco, una capitale ricca di storia, cultura, eventi. Quando vivevo là lavoravo sempre, non avevo mai un momento libero. Qui invece ho trovato calma e tranquillità, l’Italia è la mia famiglia».

Che cosa ti piace di più dell’Italia?

«L’area in cui viviamo è molto bella, pulita e offre tante opportunità. Io sono partito da zero, ma le opportunità le ho avute. Però devi essere bravo, perseverante, lavorare duramente e avere un obiettivo. Il successo te lo devi guadagnare».

Conoscevi già l’Italia prima di trasferirti?

«Sì, avevo visitato la Toscana come turista e Roma. Tutta l’Italia è bella. Per uno straniero l’Italia è Firenze, Venezia, Roma, Milano, pizza, spaghetti, scarpe, moda. Quando vieni qui scopri che non è solo quello. Ovunque c’è qualcosa di bello. Ad esempio ho visitato la chiesa di Bergamo Alta, ho visto i suoi arazzi, ed è fantastica.

E amo molto anche Roma, ci sono stato per ritirare il premio all’Italian Teacher Award 2025 e per la firma di una delle mie foto preferite da parte di Papa Francesco».

Che cosa invece non ti piace del nostro Paese?

«La burocrazia, fare i documenti, i pagamenti, le tasse, le fatture e via così. E’ molto difficile entrare nel sistema, è complicato. Senza Silvia non avrei mosso un passo».

Com’è stato il tuo primo impatto con l’Italia?

«L’Italia è il più bel Paese dove andare come turista e come fotografo. E’ un sogno, soprattutto per i siriani. In Siria Italia è sinonimo di qualità. Quando io e Silvia abbiamo deciso di vivere a Damasco nessuno ci credeva, pensavano che fosse ovvio che ci trasferissimo in Italia».

In che cosa italiani e siriani sono simili?

«Nell’aspetto fisico (in Siria capitava che scambiassero me per italiano e Silvia per siriana), nei gesti, nelle emozioni (siamo appassionati). Abbiamo la cultura del cibo, ci piace cucinare, mangiare insieme e amiamo la storia».

E in che cosa sono diversi?

«Un aspetto riguarda gli animali. Qui sono tanto amati, sono trattati come membri della famiglia. Adesso anche per me è così tanto è vero che da quando è morto il nostro cane faccio fatica a prendere un altro. E’ una cosa molto bella.

Un’altra differenza sono i saluti. Qui dopo l’ultimo ciao c’è sempre una mezz’ora extra.

E poi i regali. In Siria non vogliamo essere ringraziati e non li apriamo in pubblico per non mettere gli altri in imbarazzo, è una cosa personale. Ma è bello anche come si fa in Italia, ognuno fa come ritiene meglio.

In Siria inoltre quando mangiamo tutte le pietanze sono sul tavolo, non abbiamo le diverse portate. Non mangiamo ad orari fissi e non abbiamo la pausa pranzo. Si fa una colazione abbondante, si pranza intorno alle 17 e poi la cena, se c’è, si fa tardi, anche a mezzanotte».

Piatti tipici siriani da provare assolutamente?

«Il tabbouleh, un’insalata con bulgur, prezzemolo, succo di limone, pezzettini di pomodoro, cetrioli, cipolla, menta e olio d’oliva, e l’hummus, la crema di ceci».

Il tuo piatto preferito italiano?

«La polenta, specialmente con il cervo o il brasato».

Parli l’italiano. Sai qualche parola in dialetto?

«To’, ‘ndem. Ma la prima volta che ho sentito il papà di Silvia parlare in dialetto le ho chiesto se parlasse francese».

Un proverbio siriano?

«Tutto è bello se fatto al momento giusto».

Un desiderio?

«Voglio aiutare la ricostruzione in Siria partendo dalle scuole. E’ la prima cosa da fare dopo la guerra ed è una mia priorità. E poi vorrei rendere l’Italia e la Siria vicine».

Vuoi aggiungere qualcosa alla nostra intervista?

«Vorrei dire che senza Silvia non sarei dove sono. Ho iniziato da zero in un nuovo Paese, senza sapere la lingua, senza lavoro, senza amici. E’ molto difficile e sono molto grato a lei. E devo dirle grazie anche per avermi iscritto a mia insaputa al concorsoper il miglior insegnante». (A maggio Malla ha ricevuto il Premio della Giuria all’Italian Teacher Award 2025 grazie al progetto di Fotografia Umanitaria in inglese realizzato nelle scuole pubbliche e private della Lombardia, ndr).

Ci saluti in arabo?

«Marhaba, ciao.

Sabah al kheir. Vuol dire buongiorno e l’interlocutore risponde in vario modo, ad esempio dicendo Sabah annour, ti auguro una giornata luminosa, o Sabah al ward, ti auguro una giornata fiorita».

Mariagiulia Porrello

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