Cronaca - 11 luglio 2025, 14:28

Processo al bustocco Marco Manfrinati. In aula stamattina il video dell'orrore con le urla di Lavinia

Un'udienza dall'alto tasso emotivo quella di oggi con la visione delle immagini dell'aggressione, riprese dalla videosorveglianza, a Lavinia e Fabio Limido, le tensioni durante il procedimento civile e i messaggi lasciati dall'imputato: «Avevo avvertito chi di dovere, non sono stato ascoltato» dichiarava prima del delitto. Ascoltate le testimonianze dei vicini di casa, dei servizi sociali, di medici e di un amico della signora Criscuolo

Una «udienza dall’alto peso emotivo». Così l’avvocato di parte civile Fabio Ambrosetti ha descritto l’apertura della nuova tappa del processo che vede imputato il bustocco Marco Manfrinati, accusato dell’omicidio del padre dell’ex compagna Lavinia Limido, Fabio. Il procedimento, in corso al Tribunale di Varese, si è aperto con la proiezione delle immagini dell’aggressione di Lavinia, riprese da telecamere di sorveglianza.

Il procedimento, in corso presso l’aula bunker del Tribunale di Varese, si è aperto con la proiezione delle immagini dell’aggressione di Lavinia, riprese dalle telecamere di sorveglianza in via Ciro Menotti. Una donna di spalle cammina lungo la via avvolta in un soprabito lungo beige. Quando da un’auto parcheggiata a bordo strade esce un uomo in jeans, felpa e cappellino da baseball. 

Il riconoscimento è immediato, la donna lancia un urlo agghiacciante, si gira e cercando di scappare, inciampa e cade per terra. L’uomo la raggiunge e sovrastandola, l’accoltella ripetutamente. Si alza e ricade più volte coprendosi il volto con le mani fino a quando non arrivano i soccorsi del vicinato e il padre di Lavinia. L’aggressore si rifugia in macchina, inseguito dai tre uomini, cerca di fuggire facendo più manovre avanti e indietro fino a che il filmato si interrompe. L’aula ritorna silenziosa, nelle orecchie solo le grida di Lavinia.

Un video che sembra durare un’eternità ma che ai fatti racconta un minuto e poco più degli eventi accaduti tra le 12:41 e le 12:42 di quel tragico 6 maggio 2024.

A seguire la deposizione dei testi della giornata: una vicina di casa della famiglia Limido-Criscuolo, i servizi sociali del procedimento civile di separazione, l’organizzatore della messa in latino alla quale Manfrinati partecipava assiduamente nel comune di Legnano, la dottoressa in psicologia giuridica e consulente tecnico d’ufficio nel procedimento civile di separazione CTU, un amico della signora Criscuolo che accompagnava per protezione Lavinia agli appuntamenti in questura o dalla psicologa, Marco Crivioli psichiatra di Manfrinati sentito prima dei fatti.

«Ciao, brutta pu..... . Questo è quello che succede quando si toglie un figlio al padre». È la frase scioccante riportata da un residente, testimone dell’attacco, e che ha fatto da preludio all'intera udienza. Una frase che testimonia il livello di tensione e rancore maturato nei confronti della ex compagna, in un contesto già segnato da un difficile procedimento civile di separazione.

Gli atti del processo hanno ricostruito una situazione familiare incandescente, con Marco Manfrinati descritto come «molto arrabbiato» dopo che i servizi sociali avevano disposto che gli incontri col figlio Aiace avvenissero in spazi neutri. «Adesso agirò per conto mio», avrebbe detto. E ancora: «Io sono un uomo, voi non siete in grado di sapere quello che io sono in grado di fare».

Secondo quanto emerso in aula, Manfrinati era convinto che Lavinia fosse «plagiata» dalla madre, la signora Criscuolo, figura su cui l’uomo riversava particolari ostilità. «La signora Criscuolo voleva possedere Aiace perché era un po’ il figlio maschio che non aveva mai avuto», avrebbe dichiarato in un messaggio. Tuttavia, Manfrinati si dimostrava anche un padre presente: durante le videochiamate con il figlio costruivano insieme oggetti e leggevano libri. «Il bambino era sempre molto ricettivo» si legge in uno dei rapporti.

Nel corso dell’udienza è stata ascoltata anche la dottoressa Marzia Brusa, psicologa giuridica e Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU) nominata a dicembre 2023 per valutare le capacità genitoriali delle parti. Brusa ha raccontato di aver ricevuto una telefonata da un numero sconosciuto il giorno stesso dell’aggressione, intorno alle 11.30. Era Manfrinati. «Sì dottoressa, ma dovevo chiamarla, sa… io sono un uomo disperato», le avrebbe detto al telefono, preoccupato per l’esito della sua relazione. Turbata, la psicologa si è subito messa in contatto con la consulente di parte, la dottoressa Luciana Zeroli, e con la psichiatra di riferimento, per segnalare la telefonata e l’instabilità dell’uomo.

Anche il contesto religioso ha avuto spazio in aula: è stato ascoltato Magistrelli, organizzatore della messa in latino a Legnano, a cui Manfrinati partecipava regolarmente. Negli ultimi tempi, però, aveva iniziato a esprimere una «crisi di fede» e crescente sfiducia nelle istituzioni. «Sono più forte io sul marciapiede», scriveva, lasciando presagire una scelta estrema. E ancora: «Avevo avvertito chi di dovere, non sono stato ascoltato. Sarò coerente con quanto promesso».

Tra i testimoni finali anche un amico di Marta Criscuolo con cui praticava judo da ragazza. È lui ad accompagnare Lavinia agli incontri con la psichiatra o in tribunale a Busto Arsizio per sporgere denuncia. Ha descritto Manfrinati come «un uomo stanco, abbattuto».

Infine è stato sentito Marco Crivioli, psichiatra di Manfrinati prima dei fatti. Ha riferito che l’uomo soffriva di crisi d’ansia e di umore deflesso e reattivo, e che dopo la separazione aveva sviluppato disturbi di tipo ansioso-depressivo. «Io non ho fatto diagnosi, ho lavorato sulla narrazione del cliente», ha precisato il medico, che ha parlato di una rabbia generalizzata contro gli avvocati, la società, la famiglia di origine e quella di Lavinia, ma mai direttamente contro Lavinia stessa, «che era considerata una figura da tutelare in quanto madre di suo figlio». Manfrinati non manifestava timore nei confronti di Fabio Limido, ma temeva Marta Criscuolo. Il giorno dei tragici fatti, Crivioli ha ricevuto un messaggio in cui l’imputato affermava di aver provato a «risolvere la situazione con Lavinia» attraverso una lettera, «ma non ci era riuscito».

Il processo, che sta ricostruendo i mesi di tensione, frustrazione e degrado relazionale culminati nel gesto violento, proseguirà con nuove testimonianze chiave e a settembre in aula sarà ascoltata la parte civile in merito all’aggressione. 


 

Alice Mometti