Ieri... oggi, è già domani - 05 luglio 2025, 06:05

“Un cavagneau e a missuia” - “Il cestino e la falce”

Col caldo di luglio, saltano in mente attimi antichi di normale convivenza. Giusepèn è un istrione in senso buono e talvolta "ostenta" talune situazioni in voga all'epoca...

“Un cavagneau e a missuia” - “Il cestino e la falce”

Col caldo di luglio, saltano in mente attimi antichi di normale convivenza. Giusepèn è un istrione in senso buono e talvolta "ostenta" talune situazioni in voga, all'epoca - lo spiego meglio "parchè, Giusepèn l'ha strizzò i oegi e al ma dì... sa te oei dì?" (Giusepèn ha strizzato gli occhi e mi ha detto... cosa volevi dire?) - Sveliamo l'arcano - l'istrione classico, nell'antica Roma, era l'attore di teatro - nel moderno, l'istrione è colui che si presenta in pubblico, come se stesse recitando.

Qui, Giusepèn, a sentir discorrere di "cavagneu" (cesto) e di "missuia" (falce piccola) ha compiuto con una certa enfasi il gesto del taglio dell'erba - ed eccolo a riprendere il suo classico sorriso. Lui sa, Giusepèn che io, ragazzo di allora, avevo il compito di riempire in ogni pomeriggio di luglio, "un cavagneau" d'erba - la richiesta era per "ul trifoi" (il trifoglio) oppure "a erba mediga" (l'erba medica), autentiche leccornie per i conigli che lo zio Giannino allevava, amorevolmente - a volte si riusciva ad accontentare lo zio, col "trifoi", ma talvolta, incombevano i giochi e, invece dell'erba medica e del trifoglio, "s'à catèa i sancarliti" (si tagliavano i "sancarliti", il cui termine botanico, non conosco. Una volta compiuto il "dovere", si poteva andare a giocare con la "banda di scavezzacollo" che non conosceva limiti per la durata della partita a pallone.

Quanto però arrivava al "campetto" la "processione" delle mamme che sancivano lo "stop" alla partita di calcio, volenti o dolenti, si doveva correre a casa - prima di prendere in mano la cartella, ci si doveva lavare in "dul cadèn" (nel catino) col "gendarme" (era sempre la mamma e guai a chiamarla "gendarme") che ordinava a più non posso: "ul crocu, t'e a tial via" (lo sporco devi lavarlo e toglierlo), "i ginogi 'i van fregunòi" (le ginocchia vanno grattate), "lava pulidu da dre di uegi" (lava per bene, dietro le orecchie), "neta pulidu i ongi ch'in negar" (pulisci bene le unghie che sono nere). E non era finita lì, la litania - "te oei capila o non che a lavassi l'è pisse 'npurtanti che mangiò?" (lo vuoi capire o no che, lavarsi è più importante di mangiare?) - ecco, questo non l'ho mai capita ed è qui che Giusepèn si appella "all'articolo quinto" - quello che, chi ha il grano ha vinto" - c'entrano nulla i soldi, ma per noi ragazzi e pure per Giusepèn, il "lavarsi" era importante, ma se "te'mpienissi non ul sacu, al'à stò in pè non" (se non riempi il sacco, non sta in piedi)

Vien da dire, ma... a luglio si devono fare i compiti? certo che si deve - allora, era inveterata la frase "tantu ca t'e se frescu da studi, porta avanti i compiti di vacanzi" (mentre sei fresco dagli studi, porta avanti i compiti delle vacanze) e, con quel caldo atroce e opprimente, ciascuno della "banda" aveva o no, il diritto di protestare? - ditelo, suvvia, ditelo - SI CHE LO AVEVA.

Nei giorni a venire, la "solfa" era uguale o analoga - si giocava a perdifiato, si andava a "cogliere" i nidi dagli alberi e, sotto la minaccia di mamma-passero, si portava il prezioso involucro, sotto il tetto di casa. A volte, il nido riceveva il coro-passeraceo per la nuova dislocazione; altre volte, il nido si svuotava e rimaneva arido, dentro la melanconia. 

La memoria, rincorre i tempi lontani... che si fanno... lontanissimi, ma la "radice" del Dialetto Bustocco da strada, merita quel pizzico di attenzione che (mi sto accorgendo) si sta affievolendo. Non certo nel cuore dei Bustocchi indigeni, ma... in altri cuori che al Dialetto non hanno dedicato amore!

Gianluigi Marcora

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