Certe storie sembrano uscite dalla sceneggiatura di un film. Eppure sono vere. Come quella di Roberto Marcora, ex tennista professionista di Busto Arsizio, oggi 35enne e lontano dai riflettori del circuito ATP, che si è ritrovato, quasi per caso, a far parte della preparazione segreta di Jannik Sinner. Oggi il numero uno del tennis italiano è in campo al Roland Garros di Parigi, secondo torneo giocato dopo il rientro dalla squalifica di tre mesi concordata con la Wada per il noto caso Clostebol.
Tutto comincia a inizio marzo. Marcora è sul divano, in un giorno di relax, quando squilla il telefono. Dall’altro capo, Simone Vagnozzi, coach di Sinner e suo vecchio amico. «Mi ha chiesto in che condizioni fossi», racconta Marcora in un’intervista pubblicata da Tennis talker e rilanciata da Eurosport. «Gli ho detto la verità: da mesi non prendevo in mano una racchetta, ma se serviva, avrei risposto presente. Sarebbe stato un onore».
Il motivo di quella chiamata? Nei primi tempi della sospensione, Sinner non poteva allenarsi con atleti ancora in attività, né in strutture affiliate alle federazioni. Serve qualcuno fuori dal circuito, qualcuno affidabile. Serve Marcora che in carriera ha raggiunto il best ranking di n.150 al mondo. Ma la Wada vuole verificare che sia davvero un ex. «Si sono presi qualche giorno per controllare che non fossi più in attività», prosegue il bustocco. «Poi sono salito in macchina e sono partito».
La destinazione è la Costa Azzurra, dove il team Sinner organizza una preparazione lontana dagli occhi indiscreti, ma nel pieno rispetto delle regole. «Ci allenavamo in una villa privata. C’era un po’ il sapore dell’illegalità, anche se era tutto perfettamente a norma. Ci sentivamo un po’ come dei clandestini, anche se ciò che facevamo era assolutamente regolare».
Il clima era sereno, senza pressioni eccessive. «Sinner sembrava tranquillo, mentalmente lucido. In quella fase della squalifica la competizione era ancora lontana, quindi le sessioni erano morbide: calcio tennis per scaldarci, una sessione al giorno, tanto lavoro in palestra. Sul campo si curavano i dettagli. Sentivo un po’ di pressione: se al rientro avesse perso al primo turno a Roma… come sparring partner avrei sbagliato tutto».
Invece, il rientro è stato un successo clamoroso: finale al Master 1000 di Roma, battendo avversari di livello prima di arrendersi solo a Carlos Alcaraz. Un ritorno che ha sorpreso tutti, tranne forse chi conosce davvero Jannik. «Quello che ha fatto non è normale. Tornare dopo tre mesi e giocare a quel livello... Non è ancora al 100%, ma ci arriverà. Questo stop potrebbe persino trasformarsi in un vantaggio nella seconda parte della stagione».
Il rapporto tra il tennista di Busto Arsizio e Sinner, però, non nasce oggi. Le loro strade si sono già incrociate in passato. «La prima volta è stata all’Isola d’Elba, lui aveva 14 anni. Io mi stavo preparando per una trasferta americana, mentre Piatti – che lo allenava allora – passava lì luglio per fare stage. Un giorno mi disse: “Vieni che ti faccio fare due scambi con un ragazzino che tra qualche anno ti farà fare pochi punti”».
Quel ragazzino era Sinner. E aveva ragione Piatti. Marcora poi si operò alla spalla e dovette ripartire da zero. Ma il destino li fece rincontrare: prima nei tornei Futures, poi in una finale Challenger a Bergamo nel 2019, quando Sinner aveva appena 17 anni e mezzo. «Per molti era una sorpresa, per me no: conoscevo la sua storia, le sue qualità».
Certe storie non hanno bisogno di effetti speciali. Bastano un telefono che squilla, una racchetta e il cuore di chi non ha mai smesso di amare il suo sport. E così, da Busto Arsizio a Parigi, anche Marcora oggi è un po’ dentro al Roland Garros del numero 1 del mondo, Jannik Sinner.