Attualità - 17 maggio 2025, 13:25

Dalle fabbriche (e non solo) parte la rivoluzione dei bagni gender neutral

Uguali per tutti, senza distinzioni tra maschi e femmine, ma anche toilette per chi non si identifica nel binarismo di genere

Dalle fabbriche (e non solo) parte la rivoluzione dei bagni gender neutral

Dopo essere stati introdotti per la prima volta nelle istituzioni e nei campus americani, i bagni gender neutral sono arrivati anche in Europa e in Italia.

In futuro, al lavoro (e magari non solo) potremmo trovarci i bagni così: uguali per tutti, senza distinzioni cioè tra maschi e femmine e con un solo ambiente.

La separazione dei bagni nasce circa duecento anni fa. Secondo una visione frutto di principi vittoriani, la donna è considerata l’angelo del focolare che deve necessariamente essere protetto e difeso. Secondo lo studioso Terry S. Kogan, quando diventa chiaro che ormai i confini domestici sono stati valicati, i governi decidono di creare spazi protetti e sicuri, simili alla casa, anche sui luoghi di lavoro: nascono così toilette separate, con spogliatoi appositamente dedicati alle donne.

Oggi gli adesivi con il classico omino stilizzato si sono evoluti. Per contrastare l’omontransofobia e l’omotransnegatività, è previsto l’utilizzo di un linguaggio inclusivo con una casella alternativa a quelle maschio e femmina quando bisogna indicare il sesso. Si tratta di un piccolo accorgimento, capace tuttavia di fare la differenza per chi non si identifica nel binarismo di genere.

Non bastava la schwa, non bastava l'asterisco, come scrive in un recente saggio Paolo D’Achille, linguista e accademico della Crusca: «È senz’altro giusto, e anzi lodevole, quando parliamo o scriviamo, prestare attenzione alle scelte linguistiche relative al genere, evitando ogni forma di sessismo linguistico. Ma non dobbiamo cercare o pretendere di forzare la lingua (...). L’italiano ha due generi grammaticali, il maschile e il femminile, ma non il neutro (...). Dobbiamo serenamente prenderne atto, consci del fatto che sesso biologico e identità di genere sono cose diverse dal genere grammaticale. Forse, un uso consapevole del maschile plurale come genere grammaticale non marcato, e non come prevaricazione del maschile inteso come sesso biologico (...), potrebbe risolvere molti problemi, e non soltanto sul piano linguistico. Ma alle parole andrebbero poi accompagnati i fatti».

Voi che ne pensate?

Silvia Gullino

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