io_viaggio_leggero - 10 maggio 2025, 07:00

Giro del Monviso a piedi: il racconto di Barbara, guida ambientale

In questa rubrica troverete anche omaggi al trekking per il suo fascino senza tempo. Luoghi da scoprire, percorsi emozionanti e storie di vita. Se hai un’ esperienza da raccontare scrivi a: ioviaggioleggero@gmail.com

Oggi incontriamo Barbara, conosciuta nel mondo della montagna come “Happy Trekking”. Guida ambientale escursionistica della Regione Liguria dal 2014 e del Parco Alpi Liguri, ci racconta una sua esperienza diretta e ci invita a riflettere sul modo di vivere la montagna.

Barbara, dove ci porti?

Tra le tante avventure che ho vissuto, ce n’è una che conservo nel cuore più di tutte: il “Giro del Monviso”. Un itinerario ad anello di tre giorni, tra paesaggi spettacolari, rifugi spartani e incontri sorprendenti. Un cammino profondo, fatto di passi lenti, silenzi infiniti, condivisione e bellezza. Un’esperienza totalizzante, in cui il ritmo della natura prende il posto di quello della quotidianità.

Per chi non conosce la zona: com’è strutturato?

Siamo partiti da Pontechianale, in alta Val Varaita, con un gruppo affiatato e tanta voglia di stare bene insieme. Nello zaino, oltre al necessario, c’erano entusiasmo, aspettative e una forte curiosità. Era la mia prima volta in quelle zone e ho avuto la fortuna di collaborare con una guida locale, preparata e disponibile. Dopo un primo tratto già impegnativo, abbiamo raggiunto il “Refuge du Viso”, immerso in una conca spettacolare ai piedi del Monviso. Un luogo semplice, essenziale: camerate con letti a castello, pochissima acqua, docce quasi fredde e veloci. Ma anche accoglienza, convivialità e una cucina che, seppur essenziale, sa scaldare l’anima. La sera ci si ritrova attorno a un tavolo, con una zuppa calda, condividendo pane, racconti e silenzi. Fuori, un cielo talmente pieno di stelle da togliere il fiato.

Come continua il percorso?

Il secondo giorno ci attendeva uno dei tratti più impegnativi e iconici del giro: il “Sentiero del Postino”. È classificato EE – escursionisti esperti – perché presenta passaggi esposti e tratti tecnici. La leggenda vuole che un tempo fosse percorso da un postino che portava la corrispondenza ai rifugi. Pensare a lui mentre affrontavo quel sentiero, con le mani che si aggrappavano alla roccia, mi ha dato la misura di quanto fosse dura la vita di montagna un tempo. Oggi, quel tratto è una sfida per appassionati, ma anche un viaggio nello stupore: ogni passo apre scorci mozzafiato, ogni punto regala una nuova prospettiva. Alla fine della salita, siamo arrivati a un pianoro nascosto, quasi irreale. Un anfiteatro naturale, circondato da rocce e aperto sul cielo. Lì ci siamo fermati in un punto di ristoro, dove abbiamo mangiato una polenta fumante, seduti su panche di legno, con lo sguardo rivolto verso le vette. Nel tardo pomeriggio siamo arrivati al Quintino Sella, un rifugio che si trova in quota, a oltre 2500 metri. Il Monviso appariva come una presenza viva, da ascoltare. Il suono delle pietre in caduta, alternato a lunghi momenti di silenzio assoluto, creava una sensazione unica. E proprio lì, davanti al rifugio, una piccola chiesa storica aggiungeva una dimensione spirituale all’esperienza. In certi momenti sembrava davvero di essere sospesi tra terra e cielo.

Un episodio curioso?

Senza dubbio, all’alba del terzo giorno. Mi sono alzata presto e sono uscita dal rifugio. Ho vissuto un momento surreale: c’erano stambecchi ovunque. Alcuni immobili, altri che si muovevano tra le panche e i tavoli dove avevamo cenato la sera prima. Erano così vicini che avrei potuto toccarli. Non c’era nessun rumore, solo la luce dorata del primo sole che filtrava tra le rocce. Sembrava di essere in un sogno, in un film girato in alta quota. È stato un momento magico e irripetibile, che custodisco gelosamente.

Come si conclude il trekking?

Con una lunga discesa: sei ore tra pietraie, saliscendi e sentieri impegnativi. La stanchezza si faceva sentire, ma c’era anche una sensazione di pienezza, di gratitudine. L’ultima parte del percorso attraversava l’Alevè, uno dei boschi di pino cembro più grandi d’Europa. Dopo la roccia, la pietra, l’alta quota, quel bosco rappresentava quasi un abbraccio. Il profumo del legno, i colori ovattati, i suoni attutiti: è stato come entrare in un luogo fiabesco.

Barbara, quando nasce la tua passione per la montagna?

È nata con me. Sono cresciuta tra pascoli e alpeggi. I miei nonni vivevano sulle montagne piemontesi e da bambina passavo tutte le estati lassù. Poi, diventata adulta, ho continuato a vivere la montagna facendo trekking per passione. Cercavo gli stessi silenzi, la stessa connessione con la natura. Un giorno è uscito un bando per diventare guida ambientale escursionistica e io l’ho preso come un segno. Ho seguito il corso, ho lasciato il lavoro che avevo… e ho cambiato strada. Da allora non mi sono più fermata.

Hai vissuto episodi insoliti nel tuo lavoro?

Tanti. Uno dei più incredibili è cominciato con una telefonata: “Ciao, sono una regista giapponese…”. Stava cercando una guida per girare un documentario sulle Alpi Liguri, con un focus su fiori e biodiversità. In pochissimo tempo, con l’aiuto di colleghi e amici, abbiamo organizzato tutto. Per cinque giorni, le nostre montagne sono diventate un set cinematografico: jeep, cameraman, pioggia e polenta. Ed io, improvvisamente, attrice per una TV giapponese! Un’esperienza straordinaria, surreale e indimenticabile.

Cosa ti dà più soddisfazione come guida?

Portare in vetta le persone che fanno più fatica. Quelle che magari non si sentono all’altezza, che hanno paura, che partono con mille dubbi. Vederle arrivare, passo dopo passo, e commuoversi davanti a un panorama… è una gioia enorme. Per questo ho scelto come nome “Happy Trekking”: per me camminare è un’esperienza di bellezza e allegria, che deve essere accessibile a tutti.

Oggi il trekking è sempre più diffuso. Ci sono anche dei rischi?

È bello vedere tante persone avvicinarsi alla natura, riscoprire la lentezza, il silenzio, la fatica buona. Ma il rischio è quello dell’approccio superficiale, “usa e getta”. Camminare in montagna non è solo “andare da A a B”: è responsabilità, consapevolezza, rispetto. Purtroppo capita ancora di vedere fiori protetti raccolti, pietre portate via come souvenir, rifiuti abbandonati. E poi quei fazzoletti bianchi lasciati nei boschi… sembrano innocui, ma rovinano il paesaggio, inquinano e tolgono poesia a luoghi che dovrebbero restare intatti. Il mio suggerimento è semplice: portate sempre con voi un sacchetto e riportate a casa la vostra spazzatura. Ma soprattutto ricordate una cosa: la natura non ha bisogno di segni indelebili del nostro passaggio. Camminate, respirate, osservate. Riempitevi gli occhi e i polmoni, ma non lasciate nulla… se non le orme dei vostri passi.

Marco Di Masci

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