Recuperare e riaprire il Grand Hotel è un atto doveroso nei confronti della nostra storia, è un ponte che si può stendere tra il passato, il presente e il futuro lungo la strada del rilancio a 360° di questa città ed è, infine e soprattutto, possibile.
C’è allora chi non si arrende, seguace del monito latino del repetita iuvant. E, mentre su Spotify spopola un podcast (realizzato da Matteo Marelli e Giorgio Mastrorosa) sullo stesso argomento, lancia una petizione online che punta a risvegliare le coscienze e a dare un taglio a quell’inerzia che finora ha sempre ammantato e affievolito le voci di denuncia che da decenni si levano: salviamo il gioiello liberty del Campo dei Fiori.
A ospitare l’appello è il sito change.org (QUI l’indirizzo corretto), a promuoverlo due conosciuti varesini come Flavio Vanetti, giornalista del Corriere della Sera, e Riccardo Aceti, noto ingegnere. Semplici cittadini, però, davanti allo “stallo della montagna”: «Lo facciamo per amore - spiega Aceti - Davanti a questa causa non mi sento un tecnico, ma solo un varesino che ha il sogno di vedere un giorno finalmente recuperato un simbolo della nostra terra». «Il Grand Hotel era l’icona di una Varese famosa in tutta Europa, durante la Belle Époque, per la sua bellezza e per la sua accoglienza - aggiunge Vanetti - Io e Riccardo non siamo gli unici a pensarla in un certo modo: durante le Giornate del Fai la possibilità di accedere alla struttura riscuote sempre un grande successo, così come in altre occasioni analoghe».
Ora, però, servono le firme. Per alzare ancora di più la voce contro la tendenza a dimenticarsi, a far finta di non vedere quell’orfano (anzi quegli orfani: funicolare, ex Ristorante Belvedere, Ex Colonia) abbandonati sopra i nostri occhi, come se non esistessero. Gli stessi Vanetti e Aceti ci avevano già provato: anni fa utilizzarono il “gancio” delle tesi di due studenti del Politecnico di Milano - a riprendere in chiave ingegneristica un precedente lavoro di altrettanti studenti della Scuola di Architettura - che arrivarono a dimostrare un dato inequivocabile valido ancora oggi: «Lo scheletro della struttura è ancora assolutamente sano - spiega Aceti, che della tesi citata era relatore - Ciò significa che possono essere fatti interventi sulla “pelle” anche senza doversi preoccupare della messa in sicurezza del bene. Chi ha costruito il Grand Hotel a inizio Novecento era “avanti cent’anni” e, grazie a quel lavoro, oggi ci ritroviamo con un ottimo punto di partenza».
Per quale tipo di riqualificazione? È tutto da vedere, ma la “notizia” della perdurante stabilità dell’ex albergo si porta dietro diverse prospettive: «Si potrebbe procedere per lotti funzionali, riattivare inizialmente solo qualche piano, evenienza che comporterebbe investimenti inizialmente minori rispetto a un recupero totale. Tutto è possibile grazie alle condizioni della struttura».
La palla - speriamo ben corroborata dalla vox populi attraverso la petizione - passa ancora una volta a quello che Vanetti definisce come “un triangolo”, ovvero proprietà (la famiglia Morello), Comune di Varese e Regione Lombardia: «L’impressione è che lo stallo principale riguardi la riattivazione della seconda tratta della funicolare e in generale le vie d’accesso. È lampante che non si possa prescindere da un contributo di tutti i soggetti in causa per arrivare a una soluzione».
E le “famose” antenne sul tetto? «Già il fatto che l’edificio sorregga il loro peso dimostra ancora di più la solidità del Grand Hotel» sorride speranzoso Aceti. Il problema - un tempo arricchito da “contenziosi” legali - sarebbe comunque risolvibile, secondo certi studi pubblici, o comunque almeno rimandabile, in caso di riqualificazione parziale.
I due promotori in ogni caso non si arrenderanno: dopo la petizione, «siamo pronti anche per i gazebo in centro» arringa Vanetti.