L'autentico Bustocco è colui che parla l'indispensabile, ma riflette molto sulle parole da dire. Chiaro che non è per tutti così. C'è chi "verdi buca, fòea paòl" (apri bocca e lascia defluire parole) e c'è pure chi, delle parole …. non sa che farsene: opera e basta, poi lascia giudicare. Quindi, dedichiamo la riflessione al "gnuca ben" che ha una derivazione linguistica a me sconosciuta e pure Giusepèn taglia corto e dice "l'u disèan tuci i vegi" (lo dicevano tutti gli anziani) per ribadire che, nessuno ne conosceva il significato, ma tutti comprendevano quale significato potesse avere.
Quindi, per derivazione, diciamo che al "parlare poco" si è aggiunto il "rifletti bene". Eccolo il vero significato del "gnuca ben". Chiaro che, bisogna allargare il giro, per arrivare alla Parlata Bustocca, interamente significativa. Allora, "coloriamo" il "gnuca ben" di possibili interpretazioni pratiche.
Si diceva "gnuca ben" dopo una trattativa o un dialogo d'interessi che si proponeva fra le parti. Prima di arrivare alla soluzione definitiva, si commentavano tutti gli antefatti. Ciascuno proponeva la propria versione per la soluzione di un problema; poi, gli "antagonisti" proponevano la propria. E, dopo attenta valutazione di "cause ed effetti" si arrivava al ponderato "gnuca ben" che significa nel dialogo: "ho sentito, ho valutato, ho fatto le mie valutazioni, tu hai fatto le tue ed eccoci giunti al risultato finale che mette d'accordo le due parti. Quindi, ciascuno ha ubbidito al "gnuca ben".
C'è tuttavia un altro aspetto per quanto concerne la spartizione delle proprietà; specie fra famiglie con tanti figli e suppellettili da assegnare a ciascuno. Qui, ciascuno propendeva a "tirare la tovaglia" dalla propria parte e, quando qualcuno non era d'accordo sulle proposte di un altro, si commentava "chel lì, al porla pocu, ma al gnuca ben" per chiarire che oltre ad ascoltare le dichiarazioni degli altri qualcuno arrivava al dunque, in base proprio a quanto ascoltato e proponeva la propria tesi.
A volte, l'espressione "pochi paòl, ma gnuca ben" (poche parole, ma ben ponderate), si arrivava per le proprietà. Esempio a caso: il fratello maggiore doveva sposarsi per primo e a lui aspettava la parte migliore dell'abitazione patriarcale e vi prendeva piede - poi c'erano gli altri fratelli che dovevano scegliere in base alla casa già in essere, la parte di loro spettanza. Quando poi i fratelli erano quattro o cinque, si doveva pensare a quale parte del terreno agricolo, destinare alle future abitazioni.
E qui, il "gnuca ben" non solo non era dispersivo, ma creava discussioni sino allo spasimo che spesso si concludevano con qualche compromesso che accontentava nessuno. Il "gnuca ben" era lanciato l'uno per gli altri, con qualche mugugno.
E le figlie-femmine? Qui c'è un effluvio di soluzioni che partivano dal presupposto che la figlia-femmina andava in sposa a chi poteva garantirle una decorosa abitazione e, per il "gnuca ben" la famiglia doveva pensare alla "schirpa" (la dote) con cui di liquidava ogni spettanza, nei confronti di una "forza lavoro" che andava a vivere altrove.
Nella Società Contadina, si consumavano discordie e valutazioni che, spesso, avevano nulla a che vedere col "parlò pocu, ma gnuca ben" - anche nella Società Moderna, il "gnuca ben" è in auge. Tuttavia, si sono sempre privilegiati i figli maschi che avrebbero dovuto proseguire l'attività genitoriale, elargendo alle figlie una "schirpa" congrua, spesso accompagnata da denaro.
Insistere su altri esempi è come "cavalcare la tigre". Si entra in campo minato. Ciascuna Famiglia può benissimo obiettare d'avere deciso diversamente da quanto messo in esempio e ovviamente, io accetto ogni soluzione. Giusepèn è d'accordo e si limita a dire "scua su a to cò" che, letteralmente è "ramazza in casa tua" e che, signorilmente dice "fatti gli affari tuoi".