Maggio se ne va, Giugno è qua. Non vogliamo discutere di Meteorologia, ma semplicemente si vuol ricordare un vecchio detto della Parlata Bustocca: "Giugn e Lui, a tera l'à bui" (Giugno e Luglio, la terra bolle). Si vuole rimarcare com'erano le stagioni …. allora; rispetto a quelle odierne. Già con Maggio si circolava a "pe'n tera" (a piedi nudi); figurarsi a Giugno, quando il grano brillava con le sue messi e al "magencu" (grano che maturava a maggio), seguiva il grano vero e proprio che mostrava le sue messi-bionde, piene di sole, di spicchi dorati e di caldo impellente. La festa agreste era, per i piccoli, un momento di evasione completa. La Scuola stava per andare in vacanza; i giochi all'aria aperta erano spicchi di cielo che accoglievano le risate sfrenate che facevano comunella con le aspirazioni di tutti …. chi bramava la "colonia elioterapica", chi desiderava recarsi al mare, con la famiglia o godersi il riposo sulle alture dei monti che non erano più incappucciati di neve, ma mostravano il verde dei prati d'altura dove non era impossibile scorgere le giumente al pascolo o gli alpinisti in vena di arrampicate solenni.
Giusepèn m'è testimone, quando insieme andammo a Venegazzù, ai piedi del Montello, vicino alla città di Montebelluna, in Provincia di Treviso. Con noi, c'era Luciano (figlio di mio cugino Pierino che aveva impalmato la signorina Lina Paulon originaria proprio da quel "gioiello" di terra veneta) e insieme salimmo lo storico Montello per ammirare la natura fiorente e l'immensità di un prato che brillava di luce propria, mostrando vigneti, agrumeti e coltivazioni varie, ben-ordinate, quasi fossero giardini "tirati a lucido" per "respirare" l'aria pura di collina che si faceva intensa, mano a mano che si saliva attraverso i sentieri.
Noi ragazzi giocavamo respirando ossigeno puro, senza sapere le conseguenze della …. fisica e non ci si accorgeva che i polmoni, una volta "lavati" da quei refoli d'aria cristallina, sembravano carpiti dalla fatica del correre e mettevano in evidenza il respiro-grosso.
Proprio lì, Giusepèn ci ha fornito il suo sapere e, parlare in Bustocco in terra Veneta, diventava rarità per gli indigeni: papà Arturo (babbo di Lina), per esempio. Le pesche (caspita se me le ricordo) erano grosse come le bocce viste al bocciodromo: pelle striata e multicolore che passava dal rosso-fuxia al giallo ocra, con la densità della polpa che si avvertiva già al primo morso. Una delizia completa. Ci si lavava la faccia, col sugo che le pesche sprigionavano.
Giusepèn ammoniva a non cogliere "dal vivo" quei frutti deliziosi e ci riprese, allorchè spensierati, usavamo le mani nude per ghermire la …. preda. E ci vide nonno-Arturo, babbo di Lina, mamma di Luciano. Poche parole le sue: "fioi, ghe vol giudizio a catàr le pesche; el piciòl non va rotto col graspo" (ragazzi, ci vuole giudizio a cogliere le pesche, il picciolo che tiene il frutto attaccato al graspo, non va rotto) a cui seguiva la lezione "altrimenti, l'anno prossimo, non ci sarà il nuovo frutto e la pianta ne soffrirebbe".
Nonno-Arturo non speculava sul frutto, ma voleva semplicemente ammonirci che in campagna, la Natura merita rispetto e chi non ce l'ha si merita un "mona" che è più pericoloso di uno schiaffo.
Allora non capimmo cos'era il "mona", ma capimmo che le pesche-giganti dovevano essere colte da una mano esperta e nonno-Arturo ne diede due a testa e noi (Luciano, Giusepèn ed io) faticammo a mangiarle. "U laò a facia" (ho lavato la faccia) concluse Giusepèn per quanto erano succose le pesche e giurammo solennemente a nonno-Arturo di coglierle per noi, allorquando ne avessimo voglia. Per noi ragazzi, la vacanza fuori le mura di casa, era qualcosa di fantastico. Le acque del Brenta scivolavano lente a valle e proprio nei pressi (parola di nonno-Arturo) si consumarono molte gesta della Prima Guerra mondiale. La pacchia durò una quindicina di giorni, tra cavalcate sul dorso dei cavalli da tiro e gli schiamazzi degli animali da cortile …. c'era poi la mungitura delle vacche che ci guardavano perplesse, quali ospiti di Casa Paulon che a merenda ci forniva "soppressa" (affettato tipico) con vinello leggero che anche i giovani potevano bere. Immancabile, nel pomeriggio, la "cantata corale" che richiamava il vicinato e, dopo i giochi al chiaro di luna (nulla di romantico) si andava a dormire, sazi di luce, di fatica mostrata in giro e di sorrisi giulivi che accompagnavano il nostro sonno, finalmente pervenuto in soccorso. All'epoca, ….Giugno era d'un caldo che levigava la pelle e anticipava il caldo di Luglio che buttava i suoi raggi di fuoco, molto più potenti dei "raggi-uva" che ci si butta addosso per abbronzarsi. Il ritorno a casa era un tantino mesto, ma a chi si raccontava la vacanza, faceva piacere ascoltare l'entusiasmo di chi l'aveva trascorsa. Quando poi Jolanda (nipote di nonno-Arturo) veniva a Busto, le si mostrava la nostra campagna e lei gradiva i giochi con noi, sempre compatibili con la nostra età e che avevano il sapore della spensieratezza e dell'allegria.