Le persone con Dsa, Disturbi specifici dell’apprendimento, hanno spesso un quoziente intellettivo superiore alla media. Lo stesso vale per il loro quoziente emozionale: sono molto sensibili e possono sfruttare questa ricchezza. In classe, gli alunni con Dsa sono in grado di seguire contemporaneamente il discorso della maestra, il bisbiglio del compagno di banco e i rumori che provengono dalla strada: la loro attenzione è “divisa”. Sono capaci di “pensiero laterale”, per esempio manifestano la capacità di cercare tante soluzioni, anche non convenzionali, a un singolo problema. Nomi noti di persone con Dsa? Si sa, numerosi ed eccellenti: John Lennon, Beethoven, Picasso, Robin Williams, Dustin Hoffman, Mohammed Alì… L’elenco potrebbe continuare.
Tanto basta per dire che “I bambini Dsa hanno i superpoteri”, titolo dell’incontro organizzato dal Csk – Centro studi karate di via Magenta con Davide Baroncini, fisioterapista e osteopata (lui stesso con Dsa) e Alessia Galli, psicologa dell’età evolutiva e psicoterapeuta, introdotti da Angelo Petazzi. È stato il primo a guidare gli intervenuti fra i superpoteri, mentre la seconda ha illustrato il percorso (anamnesi, valutazione, trattamento/potenziamento) che le persone Dsa e le rispettive famiglie affrontano, o dovrebbero affrontare, per mettere a fuoco il problema, limitare insuccessi, liberare potenzialità in tanti casi esplosive. Sì, perché, come noto, le persone con Dsa, al netto di specificità personali, nella genesi dei disturbi e di contesto, incontrano tipicamente difficoltà nel passare all’azione, nell’incanalare e gestire i loro talenti.
I “nemici” si chiamano dislessia, disortografia, disgrafia, discalculia. Flop, ansia, frustrazioni, a lungo termine perfino depressione sono in agguato, a scuola e oltre. Ad ascoltare i due esperti, soprattutto genitori. Ma non mancava qualche insegnante. Una platea partecipe e nutrita. «Siamo andati in overbooking – ha fatto presente Paolo Busacca, responsabile tecnico Csk – tanto che, raccogliendo le iscrizioni alla serata, abbiamo dovuto dire parecchi no. Non escludiamo di tornare sull’argomento, in futuro, magari in uno spazio più ampio».
È anche da segni come questo che si misura l’interesse, da tempo crescente, per i Disturbi specifici dell’apprendimento. «Ma “disturbi” è un termine sbagliato – ha chiarito Baroncini – è più corretto parlare di un modo diverso di funzionare. Per me, bellissimo». La “messa a punto” per rendere performante questo modo di funzionare richiede attenzione e pazienza. «Con i bambini – ha esemplificato Alessia Galli – si lavora sui compiti, si costruiscono strumenti. Un’azione costante negli anni della scuola primaria permette di arrivare alle medie più attrezzati. Anche noi procediamo per prove ed errori, non si può ricorrere a un metodo del tutto standardizzato».
Fra gli scogli da superare, quelli che emergono quando una famiglia si rende conto che il proprio bambino non è perfetto. È, per così dire, rotto. «Ma non c’è niente di rotto. Certo, bisogna valutare tante variabili. Caso per caso: quanti e quali carichi di lavoro è possibile affrontare? La diagnosi, per il bambino, è un sollievo o un peso? E per la famiglia è l’inizio di un impegno o diventa un alibi? Ancora: il riconoscimento Dsa, in classe, apre al sostegno o si trasforma in motivo di esclusione?».
«Gli insegnanti – ha ammonito Baroncini – possono disintegrare o portare alle stelle. Nelle persone con disturbi specifici dell’apprendimento, bambini e non solo, pensiero ed esecuzione viaggiano a velocità diverse. Bisogna rallentare, per disciplinare. Ai Dsa serve tempo». Ne hanno bisogno tutti, a ben vedere. Perfino, evidentemente, le persone con i superpoteri.