Ieri... oggi, è già domani - 22 gennaio 2024, 06:00

"un dì scenèn" - il giorno della cenetta

Giusepèn fa notare come "ul di scenèn" fa risaltare la convivialità fra le famiglie , dentro cui c'erano, armonia e sorrisi e si consumava una cena "particolare" fuori abitudine, con la "luganiga" cucinata nei modi più svariati: dal "risottu cunt'àa luganica"

"un dì scenèn" - il giorno della cenetta

Lo chiamavano così, "ul dì scenèn" (il giorno della cenetta) l'ultimo giovedì di gennaio, mentre si "festeggia" la Gioeubia col ritornello che contempla la "cazoela" e il fantoccio (la Gioeubia) che ne canta l'inno con "devozione". Anche negli annali della Famiglia Bustocca si cita la Gioeubia senza altri palliativi di nomi o  nomignoli. Bustocchi siamo e Bustocchi resteremo. Per sempre!

Giusepèn fa notare come "ul di scenèn" fa risaltare la convivialità fra le famiglie , dentro cui c'erano, armonia e sorrisi e si consumava una cena "particolare" fuori abitudine, con la "luganiga" cucinata nei modi più svariati: dal "risottu cunt'àa luganica" (risotto con salsiccia), alla "luganiga" arrosto, magari corredata da patate, verdure varie e persino con mostarda. Solitamente, la convivialità avveniva di domenica, dove il contadino, specialmente, trovava riposo e ristoro e le massaie cucinavano "piatti" particolari. Quindi la cena del "di scenèn" diventava una … divagazione rispetto alla cena usuale degli altri giorni.

Irrompe Giusepèn con la sua decisa bonomia e mi incita a scrivere dei "tri dì dàa merla" che stanno per "giungere a maturazione" - sono rispettivamente il 29-30-31 gennaio che hanno un perché molto particolare …. determinano la fine tanto agognata dell'inverno e sono i tre giorni maggiormente freddi, rispetto a ogni altro giorno dell'anno.

Giusepèn racconta la sua versione riguardante la "merla" e riconosce che talune "storpiature" vanno dritte al nocciolo della questione, ma posseggono alcune sfumature che le differenziano. Dunque, questa che vado a narrare è la versione di Giusepèn e, per me, tale versione è sacra.

"Ghea 'na merla cunt'ul piumaggiu biancu ca la vulèa dent'ul fregiu …. sta poa bestia na pudea pu e par sculdassi un po', l'à se fermàa dontàr a'n camèn cal fumea" (c'era una merla dal piumaggio bianco che volava dentro quel freddo pungente …. questa povera bestia era esausta e non ne poteva più del freddo e, per scaldarsi, si è fermata dentro un camino che fumava).

Col camino acceso che fumava parecchio, la merla, senza accorgersi, vide che il suo piumaggio bianco era diventato nero e il suo becco color rosa-pallido era diventato giallo. A parte lo stupore, la merla si convinse che in fin dei conti, quel nuovo colore, le donava e la caratterizzava fra gli altri volatili. Giusepèn, sui "trì dì dàa merla" ci aggiunge un "aneddoto" che la dice lunga sulla tutela della vita. Mentre "àa merla l'a troea un camen pizzu, un uselèn l'à scapea da'n caciadui prontu a sparoghi" (mentre la merla trova un camino acceso, un uccellino, scappava da un cacciatore, pronto a sparargli) - "gira tut'a turno fin'a candu in dul prò ghe 'na vaca ca lu vedi" (gira tutt'attorno, fino a quando l'uccellino incontra nel prato una mucca che lo nota) - "alua, a voca la olz a cua e la ga fo segn a uselèn da scondas liscì" (allora, la mucca alza la coda e fa segno al passerotto di nascondersi proprio nel …. sottocoda) - "ul caciatui al vegn e'l vedi pù u uselèn e lu cerca …. in chèl mumentu lì, a voca pàa 'n bisogn la olza a cua e la buta foea a buascia insema'à uselèn e'l caciatui al curi par ide sa ga sucedi" (il cacciatore arriva e non vede l'uccellino e lo cerca, si guarda in giro, dove l'uccellino potrebbe essersi nascosto; proprio in quel momento, la mucca per bisogno, alza la coda e defeca ed espelle anche l'uccellino e il cacciatore osserva quanto succede) - "al vedi u uselèn tul spurcu, lu guorda e …. al tia drizzu, al va via e u uselèn l'e salvu" (vede, il cacciatore, il passero tutto imbrattato; lo guarda e … tira dritto, se ne va e decide di non infierire; l'uccellino è salvo).

Giusepèn conclude con una …. morale: "chi t'à buta a merda a dossu, magori t'à ufendan, ma 'na cai oelta t'à salvan àa vita" (ti ti butta la merda addosso, magari ti offende, ma qualche volta, ti salva la vita) - tutto ciò, prima di arrivare alla Gioeubia e ai "tre giorni della merla" - siccome tutto passa (Giusepèn dice -l'à ghe pasòa anca'l Napuleòn - le è passata, l'ha digerita anche  Napoleone - figurarsi a non passare a tutti gli altri).

Adesso, però Giusepèn, "ga oei 'n nocino" (ci vuole il nocino).

 

Gianluigi Marcora

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