Valle Olona - 17 gennaio 2024, 21:45

La Castellanzese promotrice di “Castellanza sono io”: «Abbiamo bisogno di chi ci crede»

Un progetto per sensibilizzare giovani e non su tre temi: educazione ambientale, appartenenza al territorio e abuso di smartphone e videogames. Il presidente Affetti: «Oggi una società sportiva ha anche il compito di andare oltre lo sport»

La Castellanzese promotrice di “Castellanza sono io”: «Abbiamo bisogno di chi ci crede»

La Castellanzese vuole dare il suo contributo anche nel sociale, per questo motivo è nato il progetto “Castellanza sono io”, da un’idea del suo presidente Alberto Affetti in collaborazione con un amico, nonché educatore professionale, Renato Radaelli.  
 
Il progetto è stato presentato questa sera nella sede della società calcistica della città dai due, ma con un motivo ben specifico: «Farlo conoscere a associazioni e istituzioni, abbiamo bisogno di chi ci crede». 
 
«È un’idea che parte da lontano, sia a livello temporale che di filosofia – ha spiegato il presidente Affetti - è quella di creare un’organizzazione che inizi un certo percorso, perché oggi una società sportiva ha anche il compito di andare oltre lo sport».  
 
Sono tre gli argomenti che vorrebbe affrontare, illustrati da Affetti: «Educazione ambientale, siamo noi che salvaguardiamo l’ambiente, gli enti danno il loro contributo, noi dobbiamo essere alla base di questo cambiamento; appartenenza al territorio, purtroppo la nostra area è una di quelle con meno identità d’Italia, dobbiamo lavorare su questo e trovare un sentimento comune che ci accompagni anche nel futuro; abuso di smartphone e videogames, si stanno notando in maniera brusca e repentina dei disagi forti, se non interveniamo fra poco avremo un disastro sociale». 
 
Come fare, l’ha spiegato l’educatore Renato Radaelli: «Il modo salvaguardare l’identità territoriale sta nelle tradizioni, riscoprendole e rafforzandole attraverso un dialogo concreto; parlando di ambiente, chi vive e ama il luogo vuole che sia bello, si parla molto di questo tema ma culturalmente non siamo ambientalisti, l’idea è quella di ripartire da alcune pratiche basilari; Uno strumento tecnologico che è importante diventa uno strumento alla chiusura sociale, qui è importante fare qualcosa di significativo, una proposta che vada a colpire questo fenomeno e che da vizioso diventi fruttuoso, dobbiamo fare una rieducazione dell’utilizzo di questi strumenti».  

Michela Scandroglio

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