L'ho tradotto così, il titolo di una delle "panzaniche in Linguaggio Bustocco" dell'esimio Carlo Azimonti in "Prosa brillante" edita nel 1957 da "Arti Grafiche Bustesi" - il motivo è semplice: mette in luce il Dialetto Bustocco d'epoca fra chi ha imparato il Dialetto in età adulta e chi, invece, il Dialetto lo ha imparato a partire dal "succhiare il latte materno" in poi.
Riproduco qui un pezzo del "giustamentu dàa spusa" specificando subito che non esiste la "sposa da aggiustare", ma è il modo di dire che si riferisce ai preparativi e agli impegni che il matrimonio comporta. Ecco il testo: "va coentu su, ma sa fèa 'na eulta a giustà a spusa. Ho munànca da finì da dervi a bùca che si già drèa sghignascià! Stè citi, ludri da ludri!" - vi racconto come ci si comportava allora, ad aggiustare la sposa (nel senso di comprendere quali fossero gli impegni economici della famiglia della sposa che si confrontavano con quelli dello sposo). Quel "ho" è un errore grammaticale ci vuole NON. Non ho ancora aperto bocca che già state sghignazzando! State quieti (il "ludri" non lo so tradurre) - il "dervi" non è Bustocco. Si usa il "verdi" da aprire e il "citi" è più un "cheti" di un "zitti".
"Donca, ai tempi di àn indrè, cand èan da fa una spusa, l'èa non tème mò: chi fàn pochi ciàcciar e 'ma s'in mètùi d'acòrdu i paènti da lù cunt i paènti da lè in sul crumpà àa mubiglia, tuttl'è bell'e finì!E sa ghe caicossa par traversu lu mettàn a postu tra da lui paènti senza dìsbischizià i spusi, in manèa ch'i fàn non cativu sanghi prima ancamò da maiàssi" - dunque: negli anni addietro quando c'era da organizzare uno sposalizio, non ci si comportava come adesso che esprimono troppe chiacchiere e si mettono d'accordo i parenti dello sposo con i parenti della sposa nell'acquistare (quel crumpà, non fa parte del Dialetto Bustocco che è "toei") la mobilia. "Tutt'è" è un derivato dell'italiano "tutto" ma nel Bustocco si dice "tuscossi" per rimanere nel tema. E se c'è qualcosa di "traverso" che non trova un accordo fra le parti, è messo a posto tra parenti senza "disbischizià" gli sposi (mai sentito - può darsi che la parola sia una … malformazione del contendere, ma in nessun altro testo, l'ho trovata), in modo da non fare cattivo-sangue ancora prima di maritarsi.
"Mò l'è comudu: dopu ch'a gh'è gnu a ùsanza da fa mèza spesa a pieugn par mèti sù cà! i cròmpan chèl ch'an da crumpà e candu àa cà l'è ben piantàa, i tian su ul strasòntu da chèl ch'an spendù e mèza spesa la gha tùca a chi da lù e mèza spesa a chi da lè e ghè pù nagùta da ratèla. Ma 'na eulta l'èa mia insci!" - adesso è comodo: dopo che s'è instaurata l'usanza di sostenere mezza spesa ciascuno, per mettere su casa, si compra (cròmpan non è Bustocco, si dice "toàn" acquistano) quello che devono acquistare e quando la casa è ben piantata tirano i conti (strasòntu - mai sentito? riassunto?) di quanto si è speso e mezza spesa è a carico alla famiglia dello sposo e mezza spesa è a carico della sposa e c'è nulla per litigare. Una volta non era così (l'èa mia, assolutamente non è Bustocco si dice l'ea non - non era … .il "mia" è più milanese-maccheronico, ma assolutamente non Bustocco)..
Chiaro che ne discuto con Giusepèn. Le sue osservazioni sono pacate, ma mi induce a chiarire un concetto già espresso sui libri "ul Giusepèn" e "Giusepèn e Maria" - l'esimio giurista Carlo Azimonti scrive nel Dialetto della sua epoca e della parlata usata in casa sua, fra gente che parlava anche l'italiano e che era un italiano "imparato" con annessi e connessi. Il "nostro-Dialetto" invece è quello "da strada", vale a dire, la parlata della gente comune, semplice che con l'italiano aveva poco a che fare. Quindi, rispetto per il Dialetto di Carlo Azimonti, ma pure rispetto per il Dialetto di Giusepèn che è pure il mio Dialetto Bustocco!