Busto Arsizio - 11 gennaio 2024, 06:00

“l'à fèi a so ua” - “si è compiuta la sua ora”

La traduzione non è proprio pertinente, ma lasciamo così solo per un fatto lessicale...

foto storica dal sito del Comune di Busto

foto storica dal sito del Comune di Busto

La traduzione del "l'à fèi a so ua" non è proprio pertinente col "si è compiuta la sua ora", ma lasciamo così, solo per un fatto lessicale, mentre nel senso compiuto di quanto è successo, la traduzione maggiormente corretta è: "è giunta la sua ora", con soggetto il "morto". Giusepèn tiene molto all'espressione dialettale, comparata con la "traduzione" in lingua. Anche per il fatto che nel Dialetto Bustocco da strada, si "colorisce" il significato dell'evento.

Parlare di morti già ad inizio d'anno, potrebbe essere di cattivo gusto, ma abbiamo notato che nei primi giorni di gennaio 2024 c'è stata una recrudescenza di morti un po' dappertutto: nelle due guerre in atto (Ucraina-Russia e Palestina-Israele)... noi, di ciò, nemmeno vogliamo sfiorare gli eventi Politici. Non parliamo poi degli incidenti stradali e degli eventi sciistici, dove si parla di morti per vizi-capillari che mettono insieme l'imperizia con la non-attitudine alla guida.

Giusepèn è costernato e mi incita a parlarne di quanto accade. E (sempre Giusepèn) tira in ballo quanto si commentava all'epoca, quando si era di fronte a un decesso. Con "l'à fei a so ua" si voleva semplicemente catechizzare il termine della "sua" vita, avvenuto per cause naturali e non.

Lasciamo pure fuori i femminicidi e o i tentativi di stupro che si sono verificati; compresi i morti in casa, per disperazione o per disprezzo alla vita che coinvolge pure le morti-bianche di innocenti che mai avrebbero pensato di arrivare a quelle conclusioni.

Giusepèn catechizza poi quel "è andato avanti" utilizzato dagli Alpini per commentare un amico che è deceduto e commenta la "morte" senza disperazione; fedele com'è alla morte naturale che avviene per i motivi più svariati … .malattia, infortuni, incidenti. Anche quelli causati da imperizia.

Accanto a quel "l'à fèi a so usa" Giusepèn introduce un altro modo di dire del nostro Dialetto. "Candu a candìa la diventa un mucèn, tèe andò" (quando la candela diventa di dimensioni infime il destino dice che è "suonata la tua campana, te ne devi andare... devi morire.

"Muì l'e Giustizia" dice Giusepèn: "morire è Giustizia" per dire che "a morti l'à guarda in facia a nisògn" (la morte guarda in faccia a nessuno" e "chi tuca, taca" (a chi tocca, non può derogare).

Ci vuole adesso, Giusepèn, qualcosa di allegro. Il Lettore si sarà toccato parecchio per scongiurare gli eventi e preferisce avere nel cuore (sempre) la speranza di essere "di sumenza" (essere un seme) che deve rimanere in vita, quantomeno come... Matusalemme. "Nisogn ga sta chi da sumenza" (nessuno resta qui per diventare un esempio): quindi, arrendiamoci al fato (destino).

Il messaggio positivo qual è? - pronto, Giusepèn dice "mèi sta chi malamenti, putosto d'andà là pulidu" al che replico... "questo è il messaggio positivo?" - di fronte al detto "è meglio vivere in qualche modo, piuttosto di andare lassù (morire) sani e in piena forma". Ogni Lettore può contestare il detto e pure io, dico che un "malato terminale, magari troppo sofferente, desidera "andar là" al più presto. Lasciamo stare, qui, la cosiddetta "morte assistita"... è materia da approfondire, specie da noi che si considera la morte un classico esempio naturale che non ammette deroghe.

Vedo Giusepèn un tantino turbato, ma "ga leu chi in dul canauzzu, ul prublema e mo' a lu di" (avevo nel gozzo questo problema, ed ora l'ho reso manifesto) e …. come dare torto a questo vispo e arzillo "nonnino" che alla morte, non ci pensa proprio?. "Men sun non vegiu; sont anticuo" (io non sono vecchio; sono antico) e all'età di quasi 98 anni (ghe tempu sin'a giugn - c'è tempo sino a giugno) tiene a precisare che nella vita occorre avere soprattutto la Speranza di potere ogni mattina, dare il benvenuto al nuovo giorno. Da vivere! - ora più che mai, ci vuole un Nocino. Giusepèn annuisce!

di Gianluigi Marcora

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