Ieri... oggi, è già domani - 05 novembre 2023, 06:00

"catànai" - birbantello

Si può tradurre in altri modi, nella Lingua Bustocca.

"catànai" - birbantello

Il termine "catànai" (birbantello), è generico. Si può tradurre in altri modi, nella Lingua Bustocca. Addirittura, in ognuno dei 9 Rioni con cui si compone la città di Busto Arsizio, il "catànai" è il bimbo scaltro e furbo, il dormiglione a oltranza, l'indolente, il fastidioso, il bonaccione che si sente rimproverare, ma in maniera flebile, quasi lamentosa. Quando -in sintesi- si vuole rimproverare, senza tuttavia mancare di rispetto. La parolaccia offensiva determina una reazione "velenosa", mentre il "catànai" lo si riceve come un buffetto e non come un insulto.

Di solito, il "catànai" si riserva a un bimbo "vispo": di quelli "cunt'ul argentu vivu a dossu" (con l'argento vivo, addosso), "ul magatèl" che è il mariuolo, o colui che ne combina una dopo un'altra, con l'incoscienza dell'età. Poi c'è il "balista", uno che racconta frottole per apparire; colui che viene scoperto e che riceve un rimbrotto di avvertenza. Il "catànai" si rifugia subito in un "u fèi a posta" (ho fatto apposta, ho scherzato), in modo da salvare "capra e cavoli" senza scalfire la reciproca fiducia. Giusepèn aggiunge un salomonico "l'è propri inscì" (è proprio così), ma non sempre ci si ferma a una "reprimenda" di poco spessore e, sempre in base all'età, il "catànai" deve subire le conseguenze.

E' pure "catànai" chi manca di parola, chi "non si ricorda" di saldare un debito, chi giura e spergiura di avere assolto a un preciso impegno e ….. avendo fatto NESSUNA di queste incombenze, si sente apostrofare "catànai" con un pizzico di risentimento. Poi, talvolta, ma non sempre, provvede.

Un'avvertenza: come la "calunnia" diventa "un venticello" che spazia nell'atmosfera, il "catànai" che si perpetua di bocca in bocca, diventa un "macigno" sulla personalità dell'individuo. Ciò detto, per dire quanto e come una "leggerezza" passata di voce in voce, diventa una sentenza dalla gravità non di poco conto.

Quando, da ragazzo mi sentivo dire "catànai" da mamma, ma pure da qualche parente, per me era un'avvisaglia che lasciava presagire nulla di buono. …. come quella volta che ho strappato il foglio del quaderno dove c'era scritta una "nota della maestra" e dopo una reiterata verifica durante la visita di mamma a colloquio con la maestra, oltre al "catànai", la mamma me le ha suonate di buona lena, non per la spacconata, ma voleva significare la pochezza di una bugia che voleva sacrificare la verità, occultandola e mistificandola.

Appresi allora che il "catànai" mi aveva portato a una bugia e mamma sentenziò (dopo la sculacciata) che "chi è bugiardo è anche ladro" così compresi che non esistono le moderne "bugie bianche" o le antiche "balle", ma a giustificare una bugia, si è sempre dalla parte del torto e si rischia di essere scoperti e di perdere la credibilità. Quando poi si sentenzia "è una ragazzata", ci si deve assumere la responsabilità e non sempre si arriva a "far passare" una "balla" appoggiandola a un credulone o a chi si fotte della verità.

Giusepèn compie un'interruzione al discorso "tuci i pulitici hin busardi; i capisàn non che i egenti hin scrochi, ma i u cuntàn su chi sumeàn vei" (tutti i politici sono bugiardi; non capiscono che le persone sono scaltre, ma  -loro, i Politici- le raccontano che sembrano verità).

C'è da rifletterci molto e Giusepèn ed io, lo faremo dopo, appena aver sorseggiato il Nocino che la Maria ha già predisposto sulla "bazziglia" cioè, il vassoio.

 

 

Gianluigi Marcora

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